24 gennaio 2007

Lettera aperta agli Heartless Bastards

Cari Erika, Mike e Kevin, cari Heartless Bastards
vengo con questa mia a dirvi che vi voglio bene e che ci ho provato, davvero, ci ho provato tanto e a lungo ma alla fine non ce l'ho fatta.
Quando due anni fa in un negozietto di dischi uno zelante commesso, conoscendo i miei gusti mi fece sentire “Stairs and Elevators”, il vostro primo album, preso da scrupolo monetario (non avevo quattrini e giravo di negozio di dischi in negozio di dischi accumulando frustrazione per il solo gusto di accumularla) decisi di non acquistarlo. Non ero rimasto particolarmente impressionato dal vostro suono ma il mio cuore (che spesso funziona meglio della mia testa) pensò comunque di appuntarsi quella band con un nome così bello: i bastardi senza cuore.
Terminati i mala tempora reincontrai il digipack rosso fuoco di Stairs and elevators e a quel punto, non più vessato da un portafogli in cui spiravano zefiri ben poco sereni, lo comprai e il mio cuore mi disse di non fare altro per quel giorno: solo tornare a casa e suonare quel cazzo di disco.
CHE CAZZO DI DISCO miei tesori, miei cari, sconosciuti amici!!!!
Stairs and Elevators si fece strada nelle mie giornate con la grazia di una divisione d'assalto dell'Armata Rossa; mise a ferro e fuoco tutte quelle pastoie elegantone che ogni tanto un mangia-dischi come il sottoscritto ascolta quando é in attesa delle “botte vere” e si sedette sul trono di “disco per il quale ero andato in fissa”.
L'immediatezza, la freschezza e la potenza che suonava nella vostra opera prima erano prodigiose.
In un colpo solo mi avevate restituito gli anni '50 dei quali sono cronicamente orfano (anche perché nato nel '74); gli anni '60 dei quali sono altrettanto cronicamente orfano (per la stessa ragione) e, soprattutto, mi avevate restituito una visione contemporanea e giovane del rock'n'roll.
Perchè, cari Heartless Bastards, il vostro era un disco di rock'n'roll che suonava straordinariamente convincente e giovane. Fu miracoloso! Era come se fosse stato inventato il mese prima. E così, dopo molto tempo, quando prestavo in giro Stairs and Elevators per diffondere il vostro verbo, alla domanda “che robb'è?” potevo rispondere serenamente ed esattamente “Rockarolla!!!” . In un attimo mi avevate liberato dalla necessità tipicamente tardo-novecentesca di utilizzare non meno di una ventina di sottodefinizioni tra cui almeno un “Post”, un “Punk” e un “Wave” per parlare di un determinato disco. Ok, ok, nelle vostre vene, sicuramente, cose come il punk o la new wave scorreranno mischiate ad altre migliaia ma alla fine della fiera, una volta tanto, la coerenza e l'intelligenza compositiva avevano prodotto una cosa talmente rockarolla da non aver bisogno di sottogeneri per chiarire di cosa si trattasse.
Stairs and Elevators aveva una grazia, una leggerezza ma anche una potenza talmente gioiose ed inequivocabili da non fare prigionieri. Mai.
Canzoni brevi, nemmeno un assolo, non un momento autoreferenziale, non un calo di tensione, il tutto talmente divertente e limpido da poter finire in qualunque giornata e in qualunque stato d'animo.
Per queste ragioni potete immaginare con quale spavalderia attendevo il secondo capitolo della vostra storia...
All This Time arrivò in un momento imprecisato dell'anno appena finito, credo fosse primavera su per giù, e quando mi giunse tra le mani, premurosamente scaricato da (cane) che come me vi aveva scoperto ed amato, quasi sdegnato presi in mano un mp3 che alla prima occasione ero sicuro sarebbe stato sostituito dalla copia originale. Giammai io scaricherò musica di un gruppo che voglio sostenere e seguire con scrupolo.
"Into the open" (traccia 1 di All This Time) iniziò col suo pianoforte riverberato lasciandomi perplesso ma speranzoso.
Presi nota del fatto manifesto di voler crescere e di volersi esprimere in modo più articolato; notai la maggior varietà di atmosfere che il disco cercava di esprimere; appuntai con zelo come i brani avessero perso immediatezza alla ricerca di spessore.
Ho ascoltato All This Time per molto tempo, con il piglio dello studioso prima e poi del fidanzato di comodo. Vi è mai capitato di stare insieme ad una persona solo perchè quella è l'unica persona che vi è capitata in quel momento? State con lei passivamente, senza aver scelto, senza aver deciso nulla fuorchè di dire “Sì” perchè dire il contrario voleva dire stare soli. E stare soli a volte atterrisce. Beh, miei cari All This Time è diventato questo. Mi doveva piacere. Per forza. Ma più mi sforzavo di amarlo, più mi rendevo conto che non contava niente. Non riusciva neanche ad essere una compagnia poco impegnativa con cui intrattenere una blanda relazione.
Cari Erika, Mike e Kevin,
se il vostro obiettivo era di migliorare il suono di Stairs and elevators, ve lo dico con franchezza: avete fallito.
Se invece volevate fare qualcosa di completamente diverso (come insegnano i Monty Phyton) vi do atto di esserci riusciti, però voglio affidavi una domanda a cui rispondere con calma: ne è valsa la pena?
Per carità: la critica ha salutato con gioia la vostra seconda uscita. Al sottoscritto invece avete causato una crisi di dubbio. Chi siete voi? Una pazza rock'n'roll band buona per ballare e per fare lo sbarco in Normandia con un sorriso cazzone dipinto sul volto o un melange modernista pseudo-qualcosa con del “Post” , del “Punk” e del “Wave” a fare da sottogeneri di riferimento?
Il rock'n'roll insegna la mancanza di pietà: se alla quarta traccia di un album non hai ancora sentito la scossa, quel disco non ti darà scosse. Ho resistito fino alla fine di All This Time sperando di trovare almeno una volta quello che cercavo ma non l'ho trovato e - non prendetemi per uno di quei fondamentalisti del cazzo, io ascolto un sacco di roba diversa - non ho trovato neanche altro che potesse essere minimamente interessante. Diciamocelo: è un'opera non riuscita.
Anche volendovi riconoscere il sacrosanto diritto di cambiare e fare un po' come cazzo vi pare, All This Time non colpisce da nessun punto di vista. Più che articolare diversamente il vostro linguaggio sembrate balbuzienti e privi di contenuti, ed è un dispiacere perchè io so che non é così.
Cari Heartless Bastards, resistete.
Gli scivoloni possono capitare a tutti (Neil Young ha fatto T.R.A.N.S., tanto per fare un esempio). Non poggiate comodamente il culo sulle critiche lusinghiere della stampa musicale che si bagna le mutande al sol pensiero di poter inserire i lemmi “Post-punk-wave-rock-psych...” nella stessa recensione dando l'impressione (errata) al recensore di possedere lo scibile musicale disponibile; non allungate ulteriormente le canzoni, altrimenti la prossima volta dovrete fare un doppio per ficcarci dentro sei brani; non tergiversate intorno all'argomento perchè la Fat possum (la vostra label) preme per farvi fare il tris. Se non avete un cazzo da dire state zitti.
Capite chi siete o, come diceva un autoavvelenatore, conoscete voi stessi e poi, e solo poi, decidetescrivetesuonate e, possibilmente, spaccateci il culo!!!
In attesa di buone nuove vi auguro il più radioso dei futuri, con la speranza che alla fine della fiera la strada da voi intrapresa possa dipingere un sorriso cazzone sui nostri volti mentre, coperti da un fazzoletto di colore primario e sovversivo, prendiamo d'assalto il Palazzo d'Inverno.
Devotamente,
un vostro sconosciuto amico.

1 commento:

joo ha detto...

...VOGLIO questo disco. capito cuoco? appena vengo nella tua dimora... anzi no. cazzarola. ma vieni te a casa mia e portati pure il (cane) al guinzaglio. e, ovviamente, il disco degli HB.
Quando vieni pe run caffettino o una cena? eh? eh? eh? domenica? eh? eh?