4 giugno 2012

Sun Kil Moon: Among the leaves [Caldo Verde, 2012]

Kozelek è uno che faccio fatica a capire, il che è un bene, ci mancherebbe.
È strano lui, è strana la sua faccia burbera che non c'entra niente con la musica che fa e con quello che canta. È strano pure quello che canta, che strappa un po' il cuore un po' i sorrisi. E sono strane le scelte che fa. Nel senso, inizi una carriera solista con un disco di cover degli AC/DC, poi torni al sound familiare della band che hai di fatto appena sciolto, poi ti concentri su canzoni intime come un dolore al petto accompagnate dalla sola chitarra classica (ah, e grazie per avermici fatto fare pace, già che ci siamo). Insomma, io ti tengo d'occhio, Kozelek, che spunti a buffo anche in film completamente improbabili, ed essendo stato la colonna sonora di infiniti struggimenti, ti voglio pure quasi bene.
Quindi quando il buon Donalisio mi ha detto che era uscito il nuovo Sun Kil Moon, e dopo aver rosicato perché non ne sapevo niente, mi sono precipitato ad ascoltarlo e ho pensato Ah ecco un altro disco solipsista di tessiture di chitarra classica, che però non sembra essere così complesso come l'ultimo che invece era molto pensato, molto articolato, fatto di canzoni scritte quasi in maniera classica tema-sviluppo-variazione, i pezzi sono più corti, più diretti, quasi delle istantanee, un approccio un po' più snello. Dai, non è male, ho pensato.
Esatto, non è male.
Per carità, Kozelek continua ad essere trasparente come una sorgente di acqua amara, canta di luoghi e sensazioni in maniera immediata, sognante più che appassionata, ma urgente come una fitta. Eppure questo disco sembra mancare della visione d'insieme degli altri. Non è del tutto acustico (qua e là, come nella title track, appaiono una chitarra elettrica e una batteria che ultimamente latitavano), non è del tutto continuo. È bello e morbido come tutte le cose che fa, e la sua voce sembra sempre uscire da una testa pressata da un post-sbronza solitario, ma ecco, nonostante gli ingredienti ci siano tutti e siano anche ben dosati e un po' più variegati di quanto fossero finora beh, ecco, io se dovessi iniziare a sentire Kozelek beh io ecco io mi sa che inizierei da un altro disco.

Verdetto: 6

3 giugno 2012

To Rome with love (Woody Allen, 2012)

Allora io ho visto un sacco di film di merda in vita mia perché essendoci la crisi ci può stare che uno se ne sta dentro casa e mette su la prima cosa che il convento del sacro streaming mette a disposizione e non pesca sempre bene, no?, quindi m'è capitato di vedere dei pipponi da svenire dei film senza ritmo delle robe che ridefiniscono loro malgrado il concetto di trash, ho pure un paio dii volte voluto fare degli esperimenti e ho guardato dei film italiani ggiovani quelli in cui sopperiscono alla mancanza di bravura sgranando gli occhi e gesticolando in maniera ampia, dai, avete capito, quei film in cui i personaggi dicono cose che nessuno direbbe e fanno cose inspiegabili, quei film che servono al regista sceneggiatore a vendicarsi contro la vita, cose tipo Santa Maradona, tipo Febbre da fieno, insomma io ho visto cose.
Io che To Rome With Love marcava male me lo sentivo e me lo sentivo pure da lontano, un po' perché onestamente Woody Allen non azzecca una commedia da Anything else - che manco era 'sto granché -, un po' perché questa cosa di girare un film all'anno è fisiologico che non porti a niente di buono, soprattutto quando ormai la vena s'è esaurita da un po', e su questo penso che siamo tutti d'accordo. Marcava male e me lo sentivo fin da quando repubblica.it aveva annunciato che "il nuovo film di Woody Allen sarà una dichiarazione d'amore alla città eterna", e qualcuno l'aveva visto circondato da personaggi di calibro inversamente proporzionale allo squallore durante le riprese. Marcava male quando sfronda sfronda si tratta di una commedia in location infarcita di attori all'ultimo grido (più qualche decano mendicante di attenzioni, ci mancherebbe) e incentrata sugli equivoci e sui luoghi comuni sugli italiani.
Cioè, rega', un film di Natale dei Vanzina.

Le storie che compongono il film sono 4. Per facilitare l'indicizzazione, inserirò un rumore di campanello ogni volta che si presenta una banalità. Pronti? Via.
La prima: Una turista americana si innamora di un avvocato romano. I genitori di lei sono un impresario in pensione e una psicanalista. I genitori di lui sono un impresario di pompe funebri che rivela avere un talento nascosto da tenore (ding!) e una casalinga che riesce effettivamente a pronunciare la battuta "Ci sentiremo tutti meglio dopo aver mangiato qualcosa" (ding!) e che cucina con le mozzarelle fresche che arrivano ogni giorno da Napoli (cioè, ma cheddavèro?) (ah, e ding!). L'impresario convincerà il padre di lui ad esibirsi in un allestimento dei Pagliacci (ding!) che finisce in standing ovation (ding!) in una platea il cui calibro è messo in scena dalla presenza di due noti stilisti omosessuali siciliani (ding! ding! ding!). Vi risparmio l'unico (UNICO) dettaglio un po' comico della faccenda, che già stiamo andando abbastanza in merda così, direi.
La seconda: una coppia di Pordenone (dotata ciononostante di uno spiccato accento romano) arriva a Roma per sfruttare un aggancio in società per un lavoro prestigioso. Lei esce per andare dal parrucchiere e si perde nel centro di Roma dove incapperà nelle riprese dii un film (ding!) e conoscerà un viscido attore fascinoso (ding!) che tenterà di sedurla (ding!). La pudica maestrina friulana (ding!) si farà corrompere dal fascino della notorietà e cederà alle lusinghe di lui MA: quando stanno per infilarsi nel letto un rapinatore si materializza dal bagno E CONTEMPORANEAMENTE (NUMERO!) la moglie del viscido attore fascinoso farà irruzione nella camera d'albergo (ding!) al seguito di uno stuolo di "addetti alla sicurezza" che avrebbe fatto impallidire i teatrini di varietà degli anni 40. Il rapinatore riuscirà però a farla passare liscia all'attore (ding!) e finirà a letto con la maestrina (ding!), tutto nel giro di pochi secondi. Avevo già menzionato che lei è pudica? Dice addirittura "Madonnina mia", credetemi: ho pensato che da un momento all'altro cicciasse fuori Amedeo Nazzari.
NEL FRATTEMPO nella stanza d'albergo dove il suo uomo la sta aspettando fa il suo ingresso per sbaglio una mignotta (interpretata da un'attrice spagnola, trovata geniale) che lui dovrà spacciare per sua moglie (ding!) ai suoi zii, che li coinvolgeranno in un'uscità in società dove lui dovrà celare il suo imbarazzo e la sua vergogna di persona rispettabile (ding!). Alla fine della fiera, lui tromberà la mignotta spagnola ricavandone edificazione come uomo e come persona, grazie alle sagge osservazioni di lei (ding!) sulla necessità degli uomini italiani di avere la moglie santa e l'amante mignotta (ding!). Tornato in albergo, troverà la sua mogliettina dall'aria innocente e le dichiarerà che faranno meglio a tornarsene in provincia (ding!) ma non prima di una pelle figlia della ritrovata disinibizione sessuale di entrambi (ding!).
La terza: un architetto americano in vacanza diventa la coscienza di un giovane studente americano che perde la testa per una bellissima ciarlatana amica della sua donna (ding!) che lo seduce, lo convince a fare cose da pazzi e poi lo accanna senza farsi troppi problemi (ding!). Ci si chiede per tutto il tempo se lo studente esista davvero o se non sia un ricordo di gioventù. Si perde interesse molto presto nella risposta.
La quarta: un tizio qualunque, presentato come cittadino romano nonostante sia uno dei toscani più famosi del mondo (ding!), si ritrova da un momento all'altro investito dalla notorietà (ding!) e viene braccato dalla stampa e dalla tv e dai paparazzi (il più importante apporto della lingua italiana alla comunità internazionale, a quanto pare) anche nel bagno (ding!). Dopo lo sgomento prima e gli eccessi poi - narrati ovviamente in chiave sessuale (ding!) - il tizio qualunque viene scaricato, rendendolo dapprima contento, ma poi frustrato (ding!), per imparare anche lui un'importante lezione sulla vita (ding!) da parte del suo ex autista talmente romano che infatti è napoletano (ding!).
Sono 26 campanelli, se non ho contato male ma può essere perché a una certa, non me ne avrete, ho anche perso il conto. Direi che è notevole, per essere un film in cui non ci sono i Fichi d'India.
E questi sono solo gli avvenimenti. Sto lasciando fuori le immagini da cartolina, il pizzardone e l'uomo gutturale in canottiera che fanno da sipario al film, il fatto che praticamente TUTTE le donne portino un vestito a fiori - cosa che paradossalmente finisce anche per essere plausibile, giacché i protagonisti pare siano stati scongelati dal 1953 - sto lasciando fuori il fatto che nessuno nel film ha un accento romano fatta eccezione per la bigotta coppia friulana, le strizzatine d'occhio alle pecorecce colonne sonore di Umiliani & co., che non si vede una macchina nemmeno a Via Veneto, e che Via Veneto sia anche solo menzionata in un film del 2012.
Sto lasciando, infine, fuori la banda che suona Nel blu dipinto di blu sulla scalinata di Trinità dei Monti non foss'altro perché preferisco non pensarci, ve lo giuro, mi vergogno, non ne parliamone mai più, davvero.

Insomma, To Rome With Love è un film povero, orrendo, indifendibile, che assomiglia a Roma nella misura in cui i suoi buchi ricordano i pregiati asfalti della giunta Alemanno, e che oltre a rappresentare il punto più basso della filmografia di Woody Allen (e io ho visto Hollywood ending, quindi SO di cosa sto parlando) è un insulto non tanto ai romani o agli italiani - di cui mi frega poco, vi dirò - quanto al cinema tout court.
Veramente, lasciate perdere, piuttosto guardate qualcosa con Jerry Calà che non vi vuole insegnare un cazzo ma almeno lo dice.