17 febbraio 2007

una serata francamente non entusiasmante

Andrea ha scritto (non qui: qui non ha ancora scritto niente) che i Blood Brothers hanno un problema, e il problema è che vogliono mettere insieme l’aggressività dell’hardcore e l’attitudine indie rock, ma ciononostante non arrivano da nessuna parte (ho parafrasato). Questo perché – dice ancora Andrea, ma non mi ricordo se l’ha scritto o me l’ha detto quando abbiamo chiacchierato subito dopo il concerto – non hai niente da cantare (cantare cantare, non gli slogan da manifestazione del liceo) e non appena inizi a ballare, loro ti cambiano il riff sotto il naso.
Vero: i Blood Brothers hanno preso anche questa cosa dal post-hardcore, e cioè il fatto che i loro pezzi non hanno una struttura “pop”, non identifichi mai una strofa, un ritornello e una variazione: al massimo qualcosa che gli si avvicina, ma che non si alterna mai in maniera strutturale, appunto.
L’altra sera dunque è valsa la pena di dar loro una chance, se non altro perché ultimamente non si sta parlando che di loro, la V2 sta spingendo un casino, e tutto sommato ero curioso come tiravano fuori i suoni dal vivo.
Insomma, abbiamo capito che i suoni dal vivo i Blood Brothers li tirano fuori bene. Hanno la pezza (e hanno anche il fonico, per cui ci sta tutto), hanno la confidenza del gruppo che suona bene e suona tanto e da tanto tempo, hanno anche una decente presenza scenica, ma i conti continuano a non tornare.
E perché? Perché anche dal vivo – anche distratti e coinvolti dalla dimensione scenica che comunque catalizza l’attenzione e generalmente fa pigliare a bene il pubblico – ai Blood Brothers manca una coesione musicale che potrebbe far fare loro veramente il botto, il botto che la V2 e la stampa sostengono abbiano già fatto, il botto che li renderebbe veramente il Gruppo Più Figo Del Bigonzo.
Diciamocelo chiaramente: i Blood Brothers vorrebbero essere gli At The Drive-In rivisti e corretti. Si capisce dal tipo di sonorità (il Rhodes del cantante che sembra Rita Pavone), si capisce dal tipo di figure ritmiche, si capisce dal tipo di impiego della voce (delle voci, insomma), che tendono ad avere una distribuzione isterica. O ci sono e sono ovunque, o non ci sono mai. E devo dire la verità? Preferisco quando non ci sono.
Questo perché al di là dell’antipatia epidermica che posso nutrire per la scelta e per la timbrica specifica – soprattutto per quanto riguarda quella di Rita Pavone (ma devo dire che un po’ tutto in lui è destinato a suscitare controversia: dal tipo di approccio vocale all’abbigliamento da Popeye gay, ai capelli a meringa, alle movenze da Diana Ross o chi diavolo vi può venire in mente) – sono proprio le voci che appiattiscono la musica dei Blood Brothers e tolgono anche l’ultimo rimasuglio di varietà dalle loro intuizioni – che comunque ci sono, eh?
Dico: ok che la via più semplice per arrangiare un pezzo è buttarlo in cagnara. Ormai da almeno 50 anni siamo abituati alle chitarre distorte e almeno da 20 alla gente che si strilla le budella dal petto, questo vuol dire che ormai l’aggressività, l’informale la sporcizia la sugna, come cavolo lo vogliamo intendere, è un linguaggio entrato a far parte integrante della musica rock – qualsiasi musica rock, da Jon Spencer ai Pig Destroyer, se è vero che il rock è un’applicazione culturale, come ho letto in uno dei milioni di saggi che mi stanno facendo perdere il sonno ultimamente, ma che prima o poi vi rintraccio e vi dico chi è.
Quindi va bene l’espressività che trascende, si contiene a stento e diventa urlo, ma diamine: anche un po’ di intelligenza tattica a volte non guasta. E ne basterebbe poca, pochissima, per intuire che forse l’attitudine hardcore i Blood Brothers farebbero bene a conservarla per l’impatto sonoro, per il carattere complessivo, e – va bene, eh? – per le strutture lineari e a sviluppo orizzontale (cioè del tipo: succede una cosa, poi un’altra poi un’altra, poi altre, poi il pezzo finisce). Insomma, non c’è pop. Non c’è pop.
E se ne stiamo parlando da 50 anni direi che è un segnale da prendere in considerazione.

PS: Non voglio nemmeno parlare del loro gruppo spalla, i Circle qualcosa. Dico solo quattro parole: “polo” “a” “righe” “orizzontali”. Direi che basta. E basta anche polo a righe orizzontali.



playlist >
sneaker pimps: walking chance
team sleep: ever (foreign flag)
coalesce: for all you are
broken social scene: lover’s spit
some girls: blues singer
ani difranco: reckoning
sonic youth: waist
the kinks: i don’t need you anymore
the beatles: think for yourself
the police: peanuts

1 commento:

Anonimo ha detto...

Il problema e' che a righe verticali rischi di sembrare Del Piero...
V.