6 febbraio 2007

uncle dave

E quindi ho capito. Dopo (quasi) 10 anni di ascolto (quasi) ininterrotto, ho capito. Dave Matthews e la sua band sono dei fighi. Ma non dei fighi qualunque. Sono dei fighi veri. Intendiamoci, ho sempre pensato che la Dave Matthews Band fosse un gruppo figo ma è da poco che ho capito che sono dei fighi veri. Mi spiego meglio. Era l'estate del 1998, la scuola era terminata ed io, invece di andare in vacanza, avevo deciso di passare un po' di tempo a Roma. Una mattina, zaino-in-spalla-cuffie-nelle-orecchie-passo-veloce+due autobus+una metro - una combo in grado di dare il colpo di grazia a chiunque ma non al me stesso di quella mattina - mi sono magicamente ritrovato di fronte al Ricordi di Piazza Indipendenza che ora non esiste più, pronto a fare qualche acquisto da ascoltare con calma nel pomeriggio. Volevo qualcosa di forte, che al tempo significava qualche disco metal puzzolente o qualsiasi cosa si avvicinasse al crossover, ma non trovavo niente che mi ispirasse davvero quando mi capitò fra le mani "Before These Crowded Streets" della DMB. Di certo non era un album metal ma fu amore a prima vista. Ricordavo di aver ascoltato e apprezzato il primo singolo, "Don't Drink The Water", una canzone che negli anni mi avrebbe procurato un'assuefazione cronica incurabile e mi recai in cassa per sbrigare la faccenda e sostituire il disco nel cd player (l'ipod non era neanche stato concepito...). Una metro+due autobus+passo-veloce-cuffie-nelle-orecchie-zaino-in-spalla tornai a casa. In trance. Ascoltai quel disco per l'intera giornata e poi per tutta l'estate. E poi negli anni successivi. Lo ascolto ancora adesso, magari scegliendo le tracce migliori. "Before These Crowded Streets" è un disco semplice, tutto sommato. Un disco non eccelso, con punte vertiginose e qualche passo falso. Ma un disco fatto di canzoni, seppure filtrate attraverso le fissazioni e gli arzigogoli di una jam band statunitense che ancora non aveva incontrato Glen Ballard (ascoltatevi "Everyday", una sorta di bignami della DMB... vabbé questa è un'altra storia). Un disco che mi ha rapito e fatto scoprire un gruppo che, a distanza di 10 anni, continua a stupirmi.
E qui arriviamo al punto. Avrete ormai capito perché Dave Matthews e la sua band sono dei fighi ma non perché io li ritenga dei fighi veri.
Finora c'è sempre stata una cosa che non ho capito appieno della DMB. Hanno inciso un milio... no, voglio essere preciso. E, per la precisione, hanno inciso 7 album dal vivo (tutti con almeno 2 cd ma arriviamo anche a cofanetti da 8!) + altri 7 che fanno parte di una serie intitolata 'Live Trax' (alcune di queste opere contano 4 cd per album) per un totale di 14 lavori live. Un po' tanti per una band che ha inciso 7 (daje!) album in studio + 1 EP ("Recently") + 1 greatest hits compresivo di secondo disco dal vivo (il che porterebbe i conti totali a 15 opere dal vivo e 8 in studio...). E invece no! Ogni singolo album dal vivo è una storia a sè stante e possiede tutte le caratteristiche per reggersi in piedi da solo. Negli anni passati ho sempre pensato che la DMB propinasse all'ascoltatore, e soprattutto ai super-fan, tutti questi dischi dal vivo perché, in fondo, si tratta pur sempre di una jam band statunitense. Ovvero di un gruppo che fa della dimensione live il suo ambiente naturale.Sbagliavo, signori miei. L'ho capito solo ora ascoltando i 7 album della serie 'Live Trax' e lo splendido cd di 8 tracce allegato al greatest hits "The Best Of What's Around Vol. 1". La DMB è un gruppo in grado di raccontare ogni sera una storia diversa attraverso le proprie canzoni. La versione di "Rapunzel" contenuta nel live di Fenway Park del 2006 è una canzone completamente diversa dalla "Rapunzel" del Meadows Music Theatre del 2000, così come è differente dalla versione registrata a Worchester nel 1998. Ogni versione dello stesso pezzo ha una particolarità evidente, un dna distintivo che la rende completamente difforme dalle proprie gemelle: può essere qualche cosa riguardante l'arrangiamento, l'interpretazione di Dave, la presenza o meno di ospiti e strumenti aggiuntivi o mera esecuzione. E' come se la DMB non riuscisse a suonare un pezzo per due volte nello stesso identico modo. E' come se i 5 musicisti parlassero con le loro canzoni, facendo discorsi diversi ogni sera. Già, perché la sensazione è che la DMB si lasci travolgere dalle proprie composizioni, sapendo perdersi in esse e con esse. Senza mai perdere il bandolo della matassa. Ed è così con tutti i mille brani registrati dalla DMB in (quasi) 15 anni di carriera. Non me ne ero mai accorto.
playlist:bloc party - "a weekend in the city" (tutto!)

1 commento:

Jim Troeltsch ha detto...

sì, però tu hai la grinta.