11 febbraio 2007

Epitaffio tardivo per Mark Sandman

Diceva (cane) che le rockstar hanno sempre la buona grazia di tirare le cuoia in posti fighi. Personalmente non posso che convenire con lui ma pensandoci bene mi viene in mente un'eccezione. Alcuni di voi (i più illuminati, ovviamente) forse ricorderanno che dalle parti di Roma, tempo addietro, si consumò una piccola tragedia: durante un concerto in quel di Palestrina morì il cantante dei MORPHINE, Mark Sandman. Nel suo scritto (cane) faceva riferimento a Sacrofano (dalla parte opposta rispetto a Palestrina) come provincia improbabile per un decesso eccellente, eppure proprio in un luogo tanto improbabile (Palestrina appunto), a tantimatanti km da casa, Mark Sandman pensò bene di lasciarci. Da cui le seguenti riflessioni parallele: A)Mark Sandman non era una rockstar; B) Palestrina non è un luogo sfigato; C) quando la grande mietitrice passa a riscuotere se ne fotte altamente del posto in cui ti trovi (ed è per questo che alcuni di noi stireranno seduti sulla tazza del cesso...).
Ammettendo senza fatica la pacifica verità contenuta al punto C, passiamo agli altri due.
Intanto spezzerei una lancia in favore di Palestrina. Siamo d'accordo non si tratta di New York o di Parigi ma c'è un bel tempio romano (dedicato a Giove se non erro), un centro storico impervio e tendenzialmente in salita, ben arroccato sul colle sopra cui si sviluppa il paese, e un simpatico belvedere. Venne rasa al suolo per ordine di papa Bonifacio VIII (quello del primo giubileo) se non erro, quindi significa che ai suoi tempi la stessa Palestrina era un centro rispettabile e influente.
Va da sé che è comunque un luogo insignificante al cospetto di una metropoli, specie se si tratta di lasciarci le penne. Morire a Roma ad esempio, che si trova a 30 km circa è certamente più nutriente per l'hype. Se però consideriamo la personalità di Mark Sandman e inseriamo l'evento fatale del decesso nel contesto di Palestrina otteniamo un'alchimia che, a modo suo, funziona. Vediamone il perchè.
Siamo negli anni '90, le chitarre elettriche si stanno prendendo una sonora rivincita nei confronti dei sintetizzatori, Kurt Cobain è, senza fallo, l'unica e sola rockstar (indegna, tra l'altro, di questo marchio infame), la contaminazione tra generi avviene ad un livello di compenetrazione e sintesi molto più profondo che nei decenni precedenti. In un modo o nell'altro i '90 sono un momento di svolta. In un panorama ampio, pieno di monnezza (ma registrata in digitale eh...), mentre la contrapposizione anche politica tra i generi musicali perde la sua forza e si afferma il concetto di ”artista indipendente” come di artista slegato dallo showbiz, dalla politica come elemento tematico e dal mercato come bidone aspiratutto, nascono piccole importanti realtà che fanno dell'autarchia una cifra stilistica.
In questo contesto inserisco i MORPHINE. La scelta - programmatica, che altro sennò? - di una line-up senza chitarra o pianoforte unita alla scrittura debitrice al linguaggio intimista del blues e della wave, al linguaggio ritmico di certo funk e ad atmosfere latentemente jazz, produce un gruppo improbabile, geniale e maledettamente affascinante.
Tra le categorie meno chiacchierate ed utilizzate dalla stampa musicale c'è il mistero. Il mistero non é mai considerato nella cifra stilistica di un artista e difficilmenente si parla di un brano come “misterioso”. Questo perché il mistero è un elemento complesso da maneggiare e di difficile fruizione per l'ascoltatore. Eppure era una delle componenti del suono dei MORPHINE. La narrazione, nei loro dischi, passa per atmosfere in cui c'è una cospicua percentuale di significato lasciata volutamente dietro il testo e dietro la musica. Perchè, necessariamente, affidandosi soltanto ad un basso a due corde (spesso suonato col bottleneck), ad una batteria pensata sovente come percussione e ad un sax (spettacolare a mio modo di vedere) intento più a rimpolpare una linea ritmico-armonica che non a condire di frizzi, lazzi e arabeschi il pezzo, una percentuale di motivi ed espressione finiva per celarsi nel retrobottega del pezzo stesso. Bene, questa é la bellezza dei MORPHINE e questo é uno dei motivi per cui noi troviamo il Blues (Blues come mood, come attitudine, come intenzione) tra i linguaggi principali che ne compongono il suono (mentre nel suono di Carla Bozulich NO!!). Non solo, questo è uno dei motivi per cui c'è... del mistero, nelle loro canzoni. Se pensate per un secondo alle incisioni di Robert Johnson o di Skip James, se avete in mente cosa intendo quando evoco Blind Willie Johnson sapete di cosa si sta parlando, sennò andate a procurarvi gli arretrati di "MUSICA!" di Repubblica e non mi rompete i coglioni: state bene così.
Il tipo di emotività che si trasmette all'ascolto di questi tre mostri sacri è basato in parte sull'archeologia. Il supporto fa la sua differenza e, of course, anche gli anni che sono passati da allora. Il fruscìo, la raucedine di quelle incisioni sono un inaspettato abbellimento. I MORPHINE non avrebbero mai potuto, negli anni '90, ottenere quella pochezza nella resa dei supporti ma la scelta autarchica menzionata diverse righe fa li avvicinò, forse inconsapevolmente, a qualcosa che, alla fine della fiera, suonava ben più antico del vintage stesso. Il Blues appunto. E il mistero, per l'appunto, celato in quanto non dichiarato apertamente, nascosto dentro al silenzio che fu una caratteristica della loro musica.
A Palestrina è stata dedicata una scalinata a Mark Sandman e i paesani, anche quelli che (penso ai più anziani) probabilmente non hanno mai avuto il bisogno di comprare un cd in vita loro, la percorrono ogni giorno tenendo in vita la circolazione periferica e intostando le chiappe e magari, ogni tanto, chi perché se lo ricorda, chi perché lo legge sulla targa che hanno apposto e fa mente locale, chi perché glielo ha detto il nipote, parla di quell'americano che era venuto a suonare sulle sue gambe e se ne era andato lungo sulla barella. In un modo molto strambo, traslando geograficamente le coordinate, i MORPHINE hanno reso a Palestrina lo stesso servizio che tanti hoboes e musicisti itineranti avevano reso alle strade d'America. Hanno creato una leggenda - hanno arricchito di un aneddoto l'aneddotica locale e hanno, in fondo, affrontato il proprio destino (Sandman più di tutti) esattamente come il più sconosciuto Bluesman nel buco del culo più stretto e remoto degli U.S.A.
Le rockstar muoiono in lussuosi alberghi al centro delle metropoli, i bluesman in bettole lercie alla periferia del mondo, da soli spesso e senza una lira; eppure, girando per la provincia americana, capita di trovare più di una tomba attribuita loro. E i locali rivendicano l'autenticità di quel tumulo neanche si trattasse della sepoltura di un santo.
Forse il buon Mark Sandman è riuscito, restando attinente all'estetica storica del bluesman ad avere un po' di più dalla vita (e ci ha risparmiato l'onere mica da poco di scrivere un'agiografia). In un posto più antico di qualunque posto della sua madrepatria ha suggellato con l'ultimo mistero che gli era possibile una storia, una poetica, un suono fatto del Mistero che necessariamente si nutre dell'antichità e dell'ignoto e che, solo parzialmente, a tratti, si svela.

2 commenti:

Unknown ha detto...

cuo', è proprio un piacere leggerti.

fran


PS. ma fa te li manda i miei saluti?

Anonimo ha detto...

cuoco, mi commuovi sempre!

N.