Io
non ho motivi di ascoltare Gonjasufi. Non ne ho motivi per milioni di
motivi. Buona parte di questi hanno naturalmente a che fare con i suoi
ascoltatori medi, ma non volendo sembrare il solito snob pieno di
pregiudizi (i miei splendidi cuccioli), mi fermerò al fatto che ho
smesso di interessarmi di elettronica pastiche
un po' di tempo fa, grazie soprattutto al mio rinnovato amore per il uanciutrifò-daje, e che la musica che mi fa ballare solo il cervello,
dopo anni di Zappa, Autechre e Bouez mi ha, come dire, un po' rotto il cazzo.
Ciononostante ho ascoltato, invece, MU.ZZ.LE per due motivi principali: il primo è che Simon Reynolds fa diversi cenni a questo Gonjasufi in Retromania, che è un libro eccellente e io mi fido di lui - mi fiderei di chiunque sostiene che gli hipsters siano avvoltoi; il secondo è che diversi critici (allmusic.com, popmatters.com, chiunque che CONTI, insomma) l'hanno incluso nella propria lista dei dischi più attesi del 2012. E poiché io credo ANCORA nella critica professionale, e fortunatamente procurarselo è pure gratis, ho pensato Ma sì, ma sticazzi, ed ecco qua.
Fa bene Reynolds a buttare Gonjasufi nel calderone dell'hauntology o comunque della post-post-modernità: la giustapposizione e sovrapposizione puntillistica di contesti sonori, sorgenti e rimandi di significato è continua, frenetica, caotica, proprio come se fosse possibile ascoltare ciò che passa su tutti gli iPod e le stazioni radio del mondo, contemporaneamente. Un incubo, insomma.
I due riferimenti immediati sono psichedelia e dub: ben lontani dalla forma canzone e da strutture con elementi ricorrenti, i 10 pezzi procedono linearmente come un viaggio (materiale o immateriale fate voi, io per me sono del parere che questo è un disco del tutto impensabile senza psicotropi), un percorso che procede sempre e solo avanti, nonostante lo sguardo sia sempre rivolto all'indietro. Le basi rallentate e corrose digitalmente sono il terreno su cui il disco rotola, tra delay a manetta e voci distorte e, insomma, beh, tutti i plugin disponibili su pro-tools. Poi vabbé, sta a te decidere se seguire questo viaggio, partecipare, sonnecchiare di tanto in tanto o concentrarti sui fatti tuoi finché non sei arrivato a destinazione e poi limitarti a scendere e arrivederci e grazie.
Come pressoché tutta la musica sperimentale, infatti, anche quella di Gonjasufi - ma dirò meglio: anche MU.ZZ.LE (non ho ascoltato altro e non credo che lo farò) è una musica più utile che bella, più necessaria a portare avanti la (necessaria) riflessione su come stiano cambiando le nostre orecchie e il modo di pensare la musica, che a goderne e rimanerne coinvolti, ed avendolo interpretato come un disco con cui essere d'accordo non significa esserne amico, non nascondo che ne ho apprezzato la brevità - del resto, poiché i pezzi si basano soprattutto sullo stesso principio di giustapposizione, invecchiamento precoce e lugubr... lugub... insomma sull'essere lugubre e affascinante al tempo stesso, è facile annoiarsi presto, cosa che infatti è accaduta a me, che ho pensato che quando di un disco apprezzi la fine è come quando leggi che il migliore in campo è stato il portiere: tutto il resto è andato storto.
Insomma MU.ZZ.LE è un disco che incuriosisce, senz'altro, che merita di essere ascoltato se vi importa della musica, e se siete disposti a sorvolare sulla sua necessità di essere BRUTTO (altrimenti come per tutta l'avanguardia, il messaggio non arriva col giusto impatto).
Quindi se mi dite che l'avete trovato interessante, vi credo e vi apprezzo pure. Ma se mi dite che vi è piaciuto, beh...
Ciononostante ho ascoltato, invece, MU.ZZ.LE per due motivi principali: il primo è che Simon Reynolds fa diversi cenni a questo Gonjasufi in Retromania, che è un libro eccellente e io mi fido di lui - mi fiderei di chiunque sostiene che gli hipsters siano avvoltoi; il secondo è che diversi critici (allmusic.com, popmatters.com, chiunque che CONTI, insomma) l'hanno incluso nella propria lista dei dischi più attesi del 2012. E poiché io credo ANCORA nella critica professionale, e fortunatamente procurarselo è pure gratis, ho pensato Ma sì, ma sticazzi, ed ecco qua.
Fa bene Reynolds a buttare Gonjasufi nel calderone dell'hauntology o comunque della post-post-modernità: la giustapposizione e sovrapposizione puntillistica di contesti sonori, sorgenti e rimandi di significato è continua, frenetica, caotica, proprio come se fosse possibile ascoltare ciò che passa su tutti gli iPod e le stazioni radio del mondo, contemporaneamente. Un incubo, insomma.
I due riferimenti immediati sono psichedelia e dub: ben lontani dalla forma canzone e da strutture con elementi ricorrenti, i 10 pezzi procedono linearmente come un viaggio (materiale o immateriale fate voi, io per me sono del parere che questo è un disco del tutto impensabile senza psicotropi), un percorso che procede sempre e solo avanti, nonostante lo sguardo sia sempre rivolto all'indietro. Le basi rallentate e corrose digitalmente sono il terreno su cui il disco rotola, tra delay a manetta e voci distorte e, insomma, beh, tutti i plugin disponibili su pro-tools. Poi vabbé, sta a te decidere se seguire questo viaggio, partecipare, sonnecchiare di tanto in tanto o concentrarti sui fatti tuoi finché non sei arrivato a destinazione e poi limitarti a scendere e arrivederci e grazie.
Come pressoché tutta la musica sperimentale, infatti, anche quella di Gonjasufi - ma dirò meglio: anche MU.ZZ.LE (non ho ascoltato altro e non credo che lo farò) è una musica più utile che bella, più necessaria a portare avanti la (necessaria) riflessione su come stiano cambiando le nostre orecchie e il modo di pensare la musica, che a goderne e rimanerne coinvolti, ed avendolo interpretato come un disco con cui essere d'accordo non significa esserne amico, non nascondo che ne ho apprezzato la brevità - del resto, poiché i pezzi si basano soprattutto sullo stesso principio di giustapposizione, invecchiamento precoce e lugubr... lugub... insomma sull'essere lugubre e affascinante al tempo stesso, è facile annoiarsi presto, cosa che infatti è accaduta a me, che ho pensato che quando di un disco apprezzi la fine è come quando leggi che il migliore in campo è stato il portiere: tutto il resto è andato storto.
Insomma MU.ZZ.LE è un disco che incuriosisce, senz'altro, che merita di essere ascoltato se vi importa della musica, e se siete disposti a sorvolare sulla sua necessità di essere BRUTTO (altrimenti come per tutta l'avanguardia, il messaggio non arriva col giusto impatto).
Quindi se mi dite che l'avete trovato interessante, vi credo e vi apprezzo pure. Ma se mi dite che vi è piaciuto, beh...
1 commento:
Sempre egregio Jim Troeltsch, posso chiederle una cortesia?
Non è che potrebbe postare i suoi eccellenti interventi con un testo ingrandito di uno/due corpi?
Grazie!
(lo so, posso ingrandire il font dal browser, ma io solitamente la leggo dal feed RSS e lì non riesco a intervenire.)
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