Perciò salta fuori che nella sventura (anche se non è stato del tutto così) il Cuoco è stato fortunato. La sventura si intende: avere il computer sfondato, l’accesso a internet limitato, e la musica dentro bloccata.
Un paio di giorni fare ho dovuto deframmentare l’hard disk dove metto i miei mp3 (per le forze dell’ordine: non vi allarmate, sono tutti tratti da copie originali che custodisco gelosamente in una botola segreta di casa mia), e dato che dei suoi 70 Gigabyte avevo risparmiato solo il 2%, ho dovuto fare spazio, altrimenti la deframmentazione non avrebbe potuto svolgersi correttamente (il che a rigor di logica potrebbe non essere la solita stronzata che mi dice Windows, dato che effettivamente lo spazio fisico dove mettere la roba serve), e di conseguenza avrei poi provveduto io a frammentare il mio computer, magari con una pesante sedia o con altri oggetti contundenti (ho iniziato a un certo punto a guardare con la brama negli occhi la Tartaruga Ninja che troneggia accanto al monitor). Insomma, la morale della favola è che ho dovuto liberare circa 8 giga di mp3, e vi assicuro che non è stato facile.
Già perché una delle più grandi piaghe dell’era dell’informazione e di internet veloce è proprio il motivo per cui internet veloce è nato, cioè avere a disposizione il MAGGIOR NUMERO di dati nel MINOR TEMPO possibile.
Quando avevo il 56k a casa dei miei genitori, avevo WinMX. Il primo pezzo che scaricai fu Staralfur, dei Sigur Ros. Lo scaricai perché non ne potevo più di sentir parlare bene di questi Sigur Ros e io ero ansioso di unirmi al coro o di distaccarmene (uno dei miei sport preferiti tra l’altro). Se avete familiarità con questo brano (e se non ce l’avete non continuate a leggere questo post: piuttosto, andate a guardarvi le sise sul sito del Corriere) ricorderete che è piuttosto lungo, almeno rispetto alla media delle canzoni pop. Il risultato è che ci misi circa una settimana per tirarlo giù da internet (per le forze dell’ordine: era uno sfizio, avevo naturalmente il disco originale), e quando fu finalmente completo godetti come un maiale selvatico – non solo per la qualità del brano, che è eccelsa, ma anche per la portata dell’impresa, a quei tempi per me inedita e titanica.
Ma è arrivato il momento del disclaimer.
Questo non è un post revivalista. Sono d’accordo con Frank Zappa per cui “il mondo non dovrà necessariamente finire con una catastrofe. Ci sono altre possibilità, come la burocrazia, o il revival”.
Ieri preparavo la peggiore carbonara della storia e ascoltavo due tizi su Radio 105 (cucinare è l’unico modo possibile per ascoltare la radio, ma ne parliamo un’altra volta) che intessevano le lodi del Commodore 64 e del suo fascino e delle quantità di tempo oceaniche che servivano a caricare un gioco con la cassettina (gioco che spesso e volentieri NON si caricava sprecando un pomeriggio intero).
Allora ve lo spiego con calma. Ok, vorremmo tutti tornare bambini, vorremmo tutti ritrovare l’età dell’innocenza (o l’innocenza stessa), siamo tutti affascinati dai ricordi e dal passato MA il Commodore 64 faceva cagare perché era un cassonetto color nocciola a cui era perfettamente IMPOSSIBILE impartire dei comandi e di conseguenza era INUTILE al divertimento che prometteva. Certo, ha insegnato lo stoicismo e mostrato la dura faccia della vita a molti di noi quando ancora eravamo illusi e nani, ma fondamentalmente parlando era veramente una merda. L’Amiga 500, ecco: quello spaccava il culo. Inserivi il dischetto e funzionava. Il Commodore 64 no. Mettevi la cassetta e non funzionava: roba da chiedere indietro i soldi.
DI CONSEGUENZA: il 56k era una merda – per lo stesso motivo – e l’ADSL è bello, perché serve allo scopo per cui è stato inventato. Non ho nessuna intenzione di piangere di nostalgia sui modem a forma di cornetta, non ho nessuna intenzione di piangere sui dischetti morbidi, non ho nessuna intenzione di glorificare cose che facevano oggettivamente rate solo perché si situano nella mia infanzia-protoadolescenza.
Detto questo, di cosa stiamo parlando. Stiamo parlando del fatto che la possibilità di accesso che internet permette è un assedio, una spinta costante dall’esterno. Ci sono milioni di motivi per cui procurarsi (per le forze dell’ordine: procurarsi e non scaricarsi, eh? Io sto attento al linguaggio) un disco, e qui torna in ballo il santo e santo e santo Calvino. Se avete presente Se una notte d’inverno un viaggiatore (se non ce l’avete presente vale sempre l’invito di cui sopra) sapete che ci sono tanti tanti motivi per cui un lettore legge un libro. L’ascoltatore non fa affatto differenza, ma al contrario: è persino aiutato dal fatto che ascoltare un disco è meno impegnativo, richiede meno tempo – e spesso anche meno impegno intellettivo – che leggere un libro. Di conseguenza, l’ascoltatore (ma attenzione: non quello casuale, ma quello cosciente, l’ascoltatore che fa dell’ascoltare praticamente un lavoro a tempo pieno) tende ad essere ossessivo-compulsivo, e ad essere animato da un certo delirio di onnipotenza, per cui Bisogna ascoltare TUTTO. Bene. Grazie Calvino, ancora una volta.
Io sono ossessivo-compulsivo, lo ammetto, ma c’è da ammettere anche che sono in buona compagnia. E di conseguenza sposo su tutta la linea la serie di motivi che spingono qualcuno (me) a procurarsi un disco. Ci sono i dischi che non puoi non aver ascoltato, ci sono i dischi di cui hai sentito parlare, ci sono i dischi di cui hai letto e sei curioso, ci sono i dischi che ti piovono semplicemente addosso, i dischi che ti consiglia un amico che a dritta o a storta qualcosa che tu non hai ce l’ha, ci sono i dischi che ti sono sempre piaciuti, ci sono i dischi in cui suona qualcuno che suonava in un disco che ti piaceva (perché poi bisogna anche dire che questi stronzi musicisti non è che si stanno mai con le mani in mano, no: loro migrano, sciamano, e noi dobbiamo seguirli, cazzo, altrimenti che ascoltatori siamo?), ci sono i dischi che hanno fatto la storia, ci sono i dischi che spaccano, i dischi importanti, i dischi seminali, i dischi di quell’etichetta che finora non ne ha sbagliata una, i dischi di cui adesso stanno parlando tutti, i dischi che la stampa sostiene che, e poi ci sono i dischi che piacciono alla tua pischella e vuoi capire perché, i dischi che ascoltavi quando eri pischello e i dischi – perché no? – che ascoltava TUO PADRE quando era pischello (se era di buoni gusti, altrimenti cazzi amari).
Sono centinaia, sono migliaia, di dischi. E non va trascurato che ognuno di questi dischi è stato influenzato, provocato, generato da altri dischi, fino a racchiudere in un enorme rete la discografia totale globale. E attenzione: sto tralasciando un milione di categorie, almeno (tipo i dischi dei gruppi che girano nella tua scena, i dischi dei gruppi che vogliono suonare con te, e poi i dischi che ascolta il tuo vicino su last.fm. (E ancora, questa gente fonda etichette, collabora, pubblica compilation o selezioni che VANNO ascoltate, c’è da diventare scemi, credetemi).
Internet permette questo accesso, che è potenzialmente infinito e continuamente rinnovabile. Puoi prendere tutto quello che vuoi, ascoltarlo, soppesarlo, giudicarlo e inserirlo in una griglia qualsiasi – secondo il momento storico, il filone, il genere, il gusto e così via. Noi siamo IMPOTENTI davanti a quest’assedio, tant’è che la banda è sempre occupata e lo spazio non basta mai e le bestemmie volano come schegge. Noi ci documentiamo, noi vogliamo sapere, noi vogliamo aver ascoltato, valutato, appreso. Curioso che questa fame non si plachi mai, curioso che vada di pari passo e si amplifichi con il sempre crescente mercato e la sempre più vasta proposta discografica (mai visti tanti gruppi SCONOSCIUTI nelle collezioni della gente prima di Myspace, e mai visti tanti gruppi fare un disco solo e poi levarsi dal cazzo, com’era del resto programmato).
Curioso, almeno quanto è curioso sentirsi dire dopo tutto questo Aoh, ma non ti piace proprio un cazzo, quando si ascolta RadioRock in macchina con qualche amico/a, ma questo è un altro discorso.
Ma cosa succede, allora, quando invece di incamerare materiale occorre liberarsene? Cosa succede quando il tuo pc si è trasformato in un catorcio e non hai UN file UNO integro nel disco rigido? Tocca cancellare.
Ho pianto per ognuno dei dischi che ho eliminato dalla mia collezione di iTunes. Perfino quelli degli emofroci a cui volevo dare una seconda (o terza o quarta: sono magnanimo) possibilità, perfino quelli di gruppi metalcore talmente derivativi che possono essere apprezzati solo se commercializzati come outtakes di Slaughter of the soul, perfino quelli di questi nuovi gruppi stronzi con i nomi da festa che hanno più righe nell’armadio che capelli in testa – a proposito, appena possibile facciamo due chiacchiere anche sui death from above 1979 –, perfino quelli di questi matti giapponesi che fanno musica distorcendo i suoni dei giocattoli fino a farli diventare rantoli del pianeta che va a puttane (e su questo non ci piove). Ho cancellato i dischi che so che non avrei ascoltato mai, i dischi che proprio non facevano per me (ho scoperto di avere ben quattro dischi di Elton John in playlist, e adesso SO cosa significa essere inaffidabili a se stessi), i dischi che tanto mi basta allungare una mano e infilarli nel lettore e vaffanculo. È stato difficile ma ce l’ho fatta.
E curiosamente, ho scoperto che lavorare di cesoie è bello. Soprattutto quando si inizia a pensare che i propri ascolti stiano diventando indifferenziati e che l’unica cosa che basti a un disco per finire nella propria collezione sia la sua disponibilità o meno in un dato momento. È stato bello cancellare la musica che effettivamente non volevo, operare una selezione, sentire di concedersi solo il meglio o quello che più faceva al caso mio.
Per dirne una, e sfiorare l’argomento al volo, è stato bello sbarazzarsi di Death From Above 1979, o Panic! At The Disco, o The Horrors, o Blood Brothers, perché è stato – e io ci credo a queste cose – il mio NO personale ai gruppi che vendono solo sulla scia dell’hype che è stato creato intorno a loro (e se mi venite a dire che i Blood Brothers sono un gruppo valido poi mi dovrete DIMOSTRARE il perché, e in tal caso state pronti che vi rompo il culo). Niente mi toglie dalla testa che molti di questi gruppi in realtà non piacciono a nessuno, ma sono tanti carini e sono vestiti tanto bene e poi guarda che bei video.
Vedete? Brian Eno ci aveva visto giusto più di dieci anni fa (altro che Myspace, allora): alcuni gruppi sono come la pubblicità delle macchine. Non vedrete più pubblicità di macchine che pubblicizzano le prestazioni o le cose che una macchina FA. Lo sappiamo benissimo che una macchina serve a spostarcisi dentro: quello che la massa vuole quando sceglie un prodotto è uno stile di vita, è un sentirsi i più fighi del bigonzo all’interno di un determinato contesto socio-culturale che li riconosce e giustifica.
E allora siccome ci tengo, io, alla musica, di questi fantocci non so proprio che farmene. Quindi via, cancellare. Tanto le righine mi ingrassano.
playlist>
rapoon: cerulean
kristin hersh: sugar baby
ensemble modern (frank zappa): uncle meat
tom waits: jesus gonna be here
johnny mathis: an open fire
thee silver mt. zion memorial orchestra and tra-la-la band: ring them bells (freedom has come and gone)
napalm death: moral crusade
the hold steady: most people are djs
the beatles: ask me why
bob dylan: absolutely sweet marie
the clash: the right profile
the (international) noise conspiracy: armed love
mastodon: blood and thunder
billie holiday: i loves you porgy
Un paio di giorni fare ho dovuto deframmentare l’hard disk dove metto i miei mp3 (per le forze dell’ordine: non vi allarmate, sono tutti tratti da copie originali che custodisco gelosamente in una botola segreta di casa mia), e dato che dei suoi 70 Gigabyte avevo risparmiato solo il 2%, ho dovuto fare spazio, altrimenti la deframmentazione non avrebbe potuto svolgersi correttamente (il che a rigor di logica potrebbe non essere la solita stronzata che mi dice Windows, dato che effettivamente lo spazio fisico dove mettere la roba serve), e di conseguenza avrei poi provveduto io a frammentare il mio computer, magari con una pesante sedia o con altri oggetti contundenti (ho iniziato a un certo punto a guardare con la brama negli occhi la Tartaruga Ninja che troneggia accanto al monitor). Insomma, la morale della favola è che ho dovuto liberare circa 8 giga di mp3, e vi assicuro che non è stato facile.
Già perché una delle più grandi piaghe dell’era dell’informazione e di internet veloce è proprio il motivo per cui internet veloce è nato, cioè avere a disposizione il MAGGIOR NUMERO di dati nel MINOR TEMPO possibile.
Quando avevo il 56k a casa dei miei genitori, avevo WinMX. Il primo pezzo che scaricai fu Staralfur, dei Sigur Ros. Lo scaricai perché non ne potevo più di sentir parlare bene di questi Sigur Ros e io ero ansioso di unirmi al coro o di distaccarmene (uno dei miei sport preferiti tra l’altro). Se avete familiarità con questo brano (e se non ce l’avete non continuate a leggere questo post: piuttosto, andate a guardarvi le sise sul sito del Corriere) ricorderete che è piuttosto lungo, almeno rispetto alla media delle canzoni pop. Il risultato è che ci misi circa una settimana per tirarlo giù da internet (per le forze dell’ordine: era uno sfizio, avevo naturalmente il disco originale), e quando fu finalmente completo godetti come un maiale selvatico – non solo per la qualità del brano, che è eccelsa, ma anche per la portata dell’impresa, a quei tempi per me inedita e titanica.
Ma è arrivato il momento del disclaimer.
Questo non è un post revivalista. Sono d’accordo con Frank Zappa per cui “il mondo non dovrà necessariamente finire con una catastrofe. Ci sono altre possibilità, come la burocrazia, o il revival”.
Ieri preparavo la peggiore carbonara della storia e ascoltavo due tizi su Radio 105 (cucinare è l’unico modo possibile per ascoltare la radio, ma ne parliamo un’altra volta) che intessevano le lodi del Commodore 64 e del suo fascino e delle quantità di tempo oceaniche che servivano a caricare un gioco con la cassettina (gioco che spesso e volentieri NON si caricava sprecando un pomeriggio intero).
Allora ve lo spiego con calma. Ok, vorremmo tutti tornare bambini, vorremmo tutti ritrovare l’età dell’innocenza (o l’innocenza stessa), siamo tutti affascinati dai ricordi e dal passato MA il Commodore 64 faceva cagare perché era un cassonetto color nocciola a cui era perfettamente IMPOSSIBILE impartire dei comandi e di conseguenza era INUTILE al divertimento che prometteva. Certo, ha insegnato lo stoicismo e mostrato la dura faccia della vita a molti di noi quando ancora eravamo illusi e nani, ma fondamentalmente parlando era veramente una merda. L’Amiga 500, ecco: quello spaccava il culo. Inserivi il dischetto e funzionava. Il Commodore 64 no. Mettevi la cassetta e non funzionava: roba da chiedere indietro i soldi.
DI CONSEGUENZA: il 56k era una merda – per lo stesso motivo – e l’ADSL è bello, perché serve allo scopo per cui è stato inventato. Non ho nessuna intenzione di piangere di nostalgia sui modem a forma di cornetta, non ho nessuna intenzione di piangere sui dischetti morbidi, non ho nessuna intenzione di glorificare cose che facevano oggettivamente rate solo perché si situano nella mia infanzia-protoadolescenza.
Detto questo, di cosa stiamo parlando. Stiamo parlando del fatto che la possibilità di accesso che internet permette è un assedio, una spinta costante dall’esterno. Ci sono milioni di motivi per cui procurarsi (per le forze dell’ordine: procurarsi e non scaricarsi, eh? Io sto attento al linguaggio) un disco, e qui torna in ballo il santo e santo e santo Calvino. Se avete presente Se una notte d’inverno un viaggiatore (se non ce l’avete presente vale sempre l’invito di cui sopra) sapete che ci sono tanti tanti motivi per cui un lettore legge un libro. L’ascoltatore non fa affatto differenza, ma al contrario: è persino aiutato dal fatto che ascoltare un disco è meno impegnativo, richiede meno tempo – e spesso anche meno impegno intellettivo – che leggere un libro. Di conseguenza, l’ascoltatore (ma attenzione: non quello casuale, ma quello cosciente, l’ascoltatore che fa dell’ascoltare praticamente un lavoro a tempo pieno) tende ad essere ossessivo-compulsivo, e ad essere animato da un certo delirio di onnipotenza, per cui Bisogna ascoltare TUTTO. Bene. Grazie Calvino, ancora una volta.
Io sono ossessivo-compulsivo, lo ammetto, ma c’è da ammettere anche che sono in buona compagnia. E di conseguenza sposo su tutta la linea la serie di motivi che spingono qualcuno (me) a procurarsi un disco. Ci sono i dischi che non puoi non aver ascoltato, ci sono i dischi di cui hai sentito parlare, ci sono i dischi di cui hai letto e sei curioso, ci sono i dischi che ti piovono semplicemente addosso, i dischi che ti consiglia un amico che a dritta o a storta qualcosa che tu non hai ce l’ha, ci sono i dischi che ti sono sempre piaciuti, ci sono i dischi in cui suona qualcuno che suonava in un disco che ti piaceva (perché poi bisogna anche dire che questi stronzi musicisti non è che si stanno mai con le mani in mano, no: loro migrano, sciamano, e noi dobbiamo seguirli, cazzo, altrimenti che ascoltatori siamo?), ci sono i dischi che hanno fatto la storia, ci sono i dischi che spaccano, i dischi importanti, i dischi seminali, i dischi di quell’etichetta che finora non ne ha sbagliata una, i dischi di cui adesso stanno parlando tutti, i dischi che la stampa sostiene che, e poi ci sono i dischi che piacciono alla tua pischella e vuoi capire perché, i dischi che ascoltavi quando eri pischello e i dischi – perché no? – che ascoltava TUO PADRE quando era pischello (se era di buoni gusti, altrimenti cazzi amari).
Sono centinaia, sono migliaia, di dischi. E non va trascurato che ognuno di questi dischi è stato influenzato, provocato, generato da altri dischi, fino a racchiudere in un enorme rete la discografia totale globale. E attenzione: sto tralasciando un milione di categorie, almeno (tipo i dischi dei gruppi che girano nella tua scena, i dischi dei gruppi che vogliono suonare con te, e poi i dischi che ascolta il tuo vicino su last.fm. (E ancora, questa gente fonda etichette, collabora, pubblica compilation o selezioni che VANNO ascoltate, c’è da diventare scemi, credetemi).
Internet permette questo accesso, che è potenzialmente infinito e continuamente rinnovabile. Puoi prendere tutto quello che vuoi, ascoltarlo, soppesarlo, giudicarlo e inserirlo in una griglia qualsiasi – secondo il momento storico, il filone, il genere, il gusto e così via. Noi siamo IMPOTENTI davanti a quest’assedio, tant’è che la banda è sempre occupata e lo spazio non basta mai e le bestemmie volano come schegge. Noi ci documentiamo, noi vogliamo sapere, noi vogliamo aver ascoltato, valutato, appreso. Curioso che questa fame non si plachi mai, curioso che vada di pari passo e si amplifichi con il sempre crescente mercato e la sempre più vasta proposta discografica (mai visti tanti gruppi SCONOSCIUTI nelle collezioni della gente prima di Myspace, e mai visti tanti gruppi fare un disco solo e poi levarsi dal cazzo, com’era del resto programmato).
Curioso, almeno quanto è curioso sentirsi dire dopo tutto questo Aoh, ma non ti piace proprio un cazzo, quando si ascolta RadioRock in macchina con qualche amico/a, ma questo è un altro discorso.
Ma cosa succede, allora, quando invece di incamerare materiale occorre liberarsene? Cosa succede quando il tuo pc si è trasformato in un catorcio e non hai UN file UNO integro nel disco rigido? Tocca cancellare.
Ho pianto per ognuno dei dischi che ho eliminato dalla mia collezione di iTunes. Perfino quelli degli emofroci a cui volevo dare una seconda (o terza o quarta: sono magnanimo) possibilità, perfino quelli di gruppi metalcore talmente derivativi che possono essere apprezzati solo se commercializzati come outtakes di Slaughter of the soul, perfino quelli di questi nuovi gruppi stronzi con i nomi da festa che hanno più righe nell’armadio che capelli in testa – a proposito, appena possibile facciamo due chiacchiere anche sui death from above 1979 –, perfino quelli di questi matti giapponesi che fanno musica distorcendo i suoni dei giocattoli fino a farli diventare rantoli del pianeta che va a puttane (e su questo non ci piove). Ho cancellato i dischi che so che non avrei ascoltato mai, i dischi che proprio non facevano per me (ho scoperto di avere ben quattro dischi di Elton John in playlist, e adesso SO cosa significa essere inaffidabili a se stessi), i dischi che tanto mi basta allungare una mano e infilarli nel lettore e vaffanculo. È stato difficile ma ce l’ho fatta.
E curiosamente, ho scoperto che lavorare di cesoie è bello. Soprattutto quando si inizia a pensare che i propri ascolti stiano diventando indifferenziati e che l’unica cosa che basti a un disco per finire nella propria collezione sia la sua disponibilità o meno in un dato momento. È stato bello cancellare la musica che effettivamente non volevo, operare una selezione, sentire di concedersi solo il meglio o quello che più faceva al caso mio.
Per dirne una, e sfiorare l’argomento al volo, è stato bello sbarazzarsi di Death From Above 1979, o Panic! At The Disco, o The Horrors, o Blood Brothers, perché è stato – e io ci credo a queste cose – il mio NO personale ai gruppi che vendono solo sulla scia dell’hype che è stato creato intorno a loro (e se mi venite a dire che i Blood Brothers sono un gruppo valido poi mi dovrete DIMOSTRARE il perché, e in tal caso state pronti che vi rompo il culo). Niente mi toglie dalla testa che molti di questi gruppi in realtà non piacciono a nessuno, ma sono tanti carini e sono vestiti tanto bene e poi guarda che bei video.
Vedete? Brian Eno ci aveva visto giusto più di dieci anni fa (altro che Myspace, allora): alcuni gruppi sono come la pubblicità delle macchine. Non vedrete più pubblicità di macchine che pubblicizzano le prestazioni o le cose che una macchina FA. Lo sappiamo benissimo che una macchina serve a spostarcisi dentro: quello che la massa vuole quando sceglie un prodotto è uno stile di vita, è un sentirsi i più fighi del bigonzo all’interno di un determinato contesto socio-culturale che li riconosce e giustifica.
E allora siccome ci tengo, io, alla musica, di questi fantocci non so proprio che farmene. Quindi via, cancellare. Tanto le righine mi ingrassano.
playlist>
rapoon: cerulean
kristin hersh: sugar baby
ensemble modern (frank zappa): uncle meat
tom waits: jesus gonna be here
johnny mathis: an open fire
thee silver mt. zion memorial orchestra and tra-la-la band: ring them bells (freedom has come and gone)
napalm death: moral crusade
the hold steady: most people are djs
the beatles: ask me why
bob dylan: absolutely sweet marie
the clash: the right profile
the (international) noise conspiracy: armed love
mastodon: blood and thunder
billie holiday: i loves you porgy
2 commenti:
qual'è quel gruppo che giapponese che distorce i suoni dei giocattoli?
in tuto questo i polysics continuano ad essere uno dei miei gruppi abbestiapreferiti
allora: io reputo che con questo post tu abbia rivelato al mondo due aspetti essenziali e indissociabili della tua personalità: la pedanteria e la compulsività.
ma non potevi cancellarli e zitto sti 8 giga di musica? c'è bisogno di fare il pippone ?!
sì! perchè tu sei un uomo saccente!
e io gli uomini saccenti oggi li detesto, soprattutto quando si lamentano che polly paulusma ha fatto un pessimo secondo album - cosa chiaramente non vera.
ecco ecco.
ecco sì, andava proprio detto.
prrrrrrrrrrrrrrrrrr.
Posta un commento