2 giugno 2007

tre appunti tre fuori dai denti

Alcuni eventi mi hanno forzosamente tenuto lontano dalle pagine del blog per un bel pezzo.
Il computer ha tirato i remi in barca ed è stato dichiarato ufficialmente deceduto un paio di mesi fa;
prendere sette, dico, sette goal nella stessa serata ha fiaccato le mie riserve intellettuali e di buon senso lasciandomi a vagare per le vie della mia città come un orangutan con le mutande; ho incontrato una straordinaria creatura di sesso opposto al mio...
Il paradosso dei paradossi è che in tutto questo tempo non ho mai veramente pensato a quello di cui avrei scritto quando sarei tornato sul blog. E così sono tornato totalmente impreparato. “Ma a noi che ce ne cale?”, direte voi, ed io non posso darvi torto ma il punto è che ho registrato un disinteresse per la “Musica parlata”, che non è il Rap, bensì quello che si dice intorno alla musica stessa. Ad un certo punto ho lasciato che a prendermi fossero solo le emozioni, senza applicare il vaglio della razionalità, senza applicare categorie. Alla fine della fiera mi ritrovo soltanto con domande senza risposta, due o tre cosine che ho capito e poca sugna.
Una domanda potrebbe vertere sul collegamento possibile tra il guasto del mio computer e il mio improvviso allontanamento dalla musica parlata, ma credo sia una forzatura.
Voglio dire, io non leggo molto di musica su internet, più che altro mi nutro di carta stampata (che spesso si rivela urticante), dunque non è ipotizzabile un ruolo del computer nel mio fruire di recensioni, articoli e quant’altro.
Il pirtupir permette di scaricare discografie intere ma è già fruizione, non musica parlata e smettere, per qualche tempo, di scaricare musica ha i suoi risvolti benefici: puoi ascoltare centinaia di cose rimaste inevase.
Così, manzo manzo, vengo a contatto con una serie di cose nuove e ricontattato da alcune delle vecchie.

Vi faccio un esempio.
In questa città così piena di preti da aver perduto ogni diritto alla grazia divina autentica, ogni tanto qualche folle decide che SIAMO ANCHE NOI UNA METROPOLI EUROPEA! Ora, questo folle è uno che le cose le sa fare, ama le cose che amo io e così, pure lui manzo manzo, dopo aver preso una fregatura dai Real Kids, azzecca un terno al lotto e porta a Roma un gruppo di messicani avvolti nella leggenda del Punk californiano: gli Zeros.
In un raro momento di normalità culturale della capitale mi sono visto un concerto che andava visto e che volevo vedere. Perché a vederli salire sul palco conciati come banditi di un film western, coi volti cotti dal sole e i denti bianchi come perle, e ’ste chitarre rozze e rockarolla, e fare, tra le altre, LITTLE LATIN LUPE LOU come se niente fosse, davanti a un pubblico di romanazzi in giacche di pelle, canotte, tatuaggi, gonne corte e cappellini da baseball è sembrato, per un singolo momento, che questo presidio di preti e monache potesse essere anche qualche cosa d’altro.
Gli Zeros sono arrivati, hanno suonato da paura, se ne sono andati.
Dalla tomba sono usciti, nella tomba ritornati.
Così ho capito una cosa: se lasci un buon ricordo puoi ripresentarti sempre, anche come fantasma, l’importante è non tradire mai la persona cui ti stai palesando.
Una grande rock’n’roll band ha ben presente questa cosa, per questo si SFORZA di suonare bene, anche quando gli anni son passati ed è strano fare Punk dopo i quaranta.
Una grande rock’n’roll band, vi dirò di più, sa mantenere una DIGNITÀ nel fare questo.
Gli Zeros lo sanno fare. Altre band, di cui oggi, per misericordia, non farò il nome, invece, ti restituiscono solo la loro immagine del tempo, possibilmente peggiorata.
Tu hai tutti i loro dischi, sono anni che li aspetti e, quando arrivano, tutto quello che sanno darti con la musica è: “GUARDA QUANTO SIAMO ANCORA FATTONI!”...
Ma vaffanculo e suona!
Allora un’altra cosa che ho capito è che, anche se hai lasciato un buon ricordo, FORSE È MEGLIO FARLA QUALCHE PROVA!

Ho portato al termine un esperimento con la fine della stagione delle piogge (anche se a guardare come piove oggi si direbbe il contrario). Tutto è iniziato un uggioso giorno lavorativo. Fresco d’acquisto, il lettore cd portatile che uso in macchina, veniva caricato a The Jam: This is the modern world.
Lungo il tragitto verso il posto dove lavoro lo facevo suonare mentre, sotto un cielo plumbeo, schizzi di pioggia mi costringevano ad azionare i tergicristalli.
I Jam, contro ogni pronostico, CI STAVANO BENE. Quei brani tesi, veloci, pieni di jingle jangle e schitarrate, di coretti, di Soul al calor bianco, sferzavano la giornata di pioggia quanto la pioggia stessa sferzava quella giornata. E non si trattava di una sensazione di piacere per contrasto ma per assonanza, armonia. Lungo la via Appia nuova ho un’intuizione che condurrà all’esperimento sopracitato: I GRUPPI INGLESI, SUONANO SEMPRE BENE QUANDO PIOVE...
La teoria da dimostrare si è rivelata troppo ambiziosa. Per un attimo, nella mia testa, era balenato il pensiero che gli inglesi scrivessero canzoni con giornate di pioggia dentro, per quanta ne vedono cadere. Mi ero suggestionato al pensiero che quel modo di scrivere e suonare, meno sanguigno, meno semplicista, meno immediato dei colleghi oltre-Atlantico fosse un riflesso antropologico della meteorologia d’Albione. Nel tempo questa teoria mi si è incartata, però alla fine della fiera ho stilato una lista di roba inglese che, tempo permettendo, può farvi ottima compagnia:
The Jam “This is the modern world”
The Clash “London calling”
Elvis Costello & the Attractions “Get Happy”
The Kinks “The Kinks”
The Damned “The Black album”
È solo una top five, ma per ora può bastare. Provate a farci caso anche voi e, eventualmente, mettete un commento nel blog... tanto non vi rispondo.

Tra le nuove cose con le quali sono venuto a contatto recentemente c’è questo duo improbabile che si fa chiamare Death From Above 1979. Bel nome, per carità, ma sul loro You’re a woman, I’m a machine sono state spese parole grosse, troppo grosse.
Non saprei citare testualmente le recensioni che ho letto sul loro conto, né saprei ricordare i riferimenti fatti per dare un’idea di chi diavolo sono questi (somigliano a Tizio, a Caio...), per questo vi sorbirete i miei, di riferimenti.
Cosa non secondaria, il tenore del mio commento sarà sensibilmente diverso da quello delle recensioni lette.
Innanzitutto una cosa: l’entusiasmo:PERCHÉ?!?
Perché recensioni così entusiaste? Perché illudere il popolo (che prima o poi se ’ncazza...) annunciandogli grandi emozioni e divertimento?
Questo disco è talmente privo di elementi emozionanti che se sentite delle emozioni mentre lo ascoltate... SIETE DEI BUGIARDI!
Le categorie che scomoderei per definire i DEATH FROM ABOVE 1979 passano per pochi elementi probanti.
Hanno effettuato un’operazione scaltra: hanno proposto una versione low-fi dei FRANZ FERDINAND. Basso distorto e batteria furiosa un po’ wave un po’ boh. Vaghe reminiscenze Sabbathiane e quel nonsocché di Stoner su un impianto che strizza l’occhio alla dance music.
Attraente vero? Intrigante, quasi... Ma il risultato è scadente.
In questo disco non troverete groove se è quello che state cercando; non troverete melodie particolarmente accattivanti da canticchiare durante le abluzioni; non troverete un muro di suono spesso e fitto; non troverete calore danzereccio o la nostalgia dei ’50 tanto cara agli anni ’80.
Questo disco, francamente, è già un miracolo se vi fa incazzare: vuol dire che ha suscitato qualcosa in qualcuno. Ascoltarlo è stato noioso ed inutile: avrei fatto meglio a spazzare il pavimento della mia camera.
Trovare questo prodotto così privo di talento, contemporaneamente, così pompato dalla stampa non è stato meno spiacevole che ascoltarlo. Il solo pensare che “La Formula”, la pozione magica, anche solo perché tale, funzioni davvero, è la più grossa cazzata da apprendisti stregoni che i nostri recensori possono permettersi. Questo disco non ha nulla da darvi. La sua “Formula” non supporta una scrittura davvero interessante. Il fascino per questo suono cade vertiginosamente dopo il primo minuto di ogni canzone impedendoti di ascoltare i brani per intero. Questo perché, oltretutto, non è che ’sta misticanza malassortita di Q.O.T.S.A., Editors, dance in pessima salamoia gli sia proprio riuscita bene. La loro mancanza di credibilità mi fa dubitare della loro sincerità e, dunque, la seduta è definitivamente sciolta: I DEATH FROM ABOVE 1979 SONO BRUTTI (e i nostri recensori dei mitomani...). Non comprateli, non scaricateli, uscite a bervi un chinotto oppure ripassate l’intera discografia dei B-52’S, se volete. E diffidate gente, diffidate...
Sono tornato!
con osservanza, nuovamente vostro umile servo
il Cuoco.

1 commento:

Anonimo ha detto...

sei sempre mejo te....
sempre