Alla fine l'hardcore è come Dio, o come il comunismo o come le donne: sono degli ideali dal contorno fumoso che non si sanno definire bene, non hanno sempre delle spiegazioni coerenti e soprattutto ognuno ha la sua personale, non per forza compatibile con quella degli altri.
Io di hardcore finora non ho parlato mai perché sono stato un po' a guardare e un po' ad ascoltare, e alla fine mi sono reso conto che sì, qui a Roma tutto sommato le cose non vanno poi così a cazzo di cane come si penserebbe. La gente si lamenta in continuazione del fatto che non c'è unity, del fatto che non c'è abbastanza supporto blah blah. Magari è vero, ma è vero pure che non è che abbiamo proprio l'idea perfetta di come stavano le cose 20, 25 anni fa. Non abbiamo nemmeno idea di come stessero le cose in America, a Washington, a New York o a Los Angeles. Nel senso che a lamentarsi sono buoni un po' tutti. E poi queste cose sono sempre delicatissime. È come chiedere a qualcuno com'è la propria facoltà: Ah no, lascia perdere, non funziona un cazzo. Nessuno è mai contento. Magari glielo vai a chiedere a Vinnie Stigma, a Ian McKaye, a Pete Koller, o a quel povero cristo di John Brannon, che a Detroit stava da solo: ti diranno tutti La scena dalle mie parti era un po' una merda, non funzionava un cazzo, eppure alla fine sono riusciti a farcela. Certo, ai concerti c'era sempre un boato di gente, ma tutto sommato, grazie al cazzo: in America C'È più gente, e poi hanno delle radio locali che a volte funzionano molto molto meglio delle nostre (perfino delle radio cosiddette “antagoniste” che però l'hardcore l'hanno sempre snobbato perché è sempre stato associato in maniera frettolosa a certi ambienti di destra che con l'HC hanno in comune solo l'abitudine a portare le teste rasate – o forse perché come musica di protesta hanno sempre preferito il piagnucolare rustico e dimesso dei cantautori italiani degli anni '70 che in quanto a presa di coscienza hanno ancora molto da insegnare, ma in quanto ad agitprop se permettete anche no), e insomma è lo stesso motivo per cui in America hanno gli atleti migliori: sono in tanti, il livello medio dev'essere per forza più alto. Che poi se vogliamo è anche il motivo per cui a Roma la media qualitativa delle band non è affatto male. Se cresci ascoltando i Growing Concern hai già un bel punto di riferimento con cui partire, per cui è abbastanza ovvio che se hai un minimo di intelligenza critica sai misurarti come si deve con i modelli. Ed è anche il motivo per cui non è proprio una stronzata parlare di scena, qui a Roma. Certo, c'è un'ovvia tendenza alla dispersione, all'entropia, al fare insomma ognuno per i cazzi suoi, ma ieri sera davanti a Hellnation c'era una bella popolazione di gente che si conosce, si apprezza reciprocamente e ha dei punti di riferimento e dei percorsi condivisi. Molti di loro hanno suonato insieme e se non l'hanno ancora fatto lo faranno, o alla fine non fa differenza perché si seguono a vicenda e da vicino. Non ci sono grosse rivalità, forse non ci sono nemmeno piccole rivalità: è chiaro che c'è gente in gamba, gente meno in gamba, teste di cazzo, faccendieri, leccaculo, attivisti, gente che si monta la testa, ma queste categorie sono categorie umane che in proiezione si possono trovare in qualsiasi agglomerato sociale: da un gruppo di persone che hanno qualcosa in comune a 200 cristiani che si trovano per caso sullo stesso vagone della Metro.
È chiaro che potrebbe essere meglio, che ci potrebbe essere più coesione, più partecipazione e cooperazione, più coerenza soprattutto, e un po' meno esibizionismo, ma dopotutto l'hardcore invece di (e prima che) essere una religione è una scheggia impazzita del rock and roll, e sono cinquant'anni che i rockandrollers trattano la propria chitarra come se fosse un'estensione del proprio pisello a beneficio della prima fila di belle figliole. Ce ne lamentiamo da mezzo secolo eppure non riusciamo a sottrarci alle stesse abitudini. Dev'essere genetico, famoce pace.
Non so di preciso dove volevo arrivare con questa considerazione, forse alla fine volevo fissare una sensazione che ho provato per un minuto ieri sera, appunto, e insieme uscire dal coro di gente che sostiene che a Roma la situazione sia pessima. No, non lo è. Comprate il settepollici degli Anti You e ve ne renderete conto. C'è ancora voglia di combattere, di incazzarsi e di farlo in canzoni da 20 secondi (come ai vecchi tempi) con le accordature standard (come ai vecchi tempi) e senza la parte mosh che a una certa pare che deve partire per prescrizione medica (anche questo come ai vecchi tempi, sì). E c'è ancora la voglia di farlo facendo riferimento alle forme di 25 anni fa, quelle grezze che vengono direttamente dalla Washington del 1981, uscendo dalla dimora confortante del new school di ispirazione Hatebreed-Terror, o dall'iconografia vegan straight edge di cui ho il massimo rispetto, ma anche un po' piene le scatole, soprattutto quando ostentato da neofiti casaccius e sventolato come salvacondotto anche da gruppi che onestamente (lo dico?) fanno notevolmente cacare (l'ho detto), come a ddì Aoh, io so' Veganstreitegg, sti cazzi che suono robba uguale a TUTTI GLI ALTRI. Come esse preti.
E soprattutto, c'è ancora voglia di farlo attraverso il mezzo punk hardcore per eccellenza: il vinile. Non si può masterizzare, è un oggetto che gira per casa e non in una cartella sull'hard disk dati, e soprattutto è un riferimento diretto e inequivocabile dell'apprezzamento e del seguito di una band – a differenza delle magliette, indice di gradimento principale (seppur non ortodosso) dei gruppi che giustamente non sanno come portare a casa altrimenti almeno due lire dopo essersi fatti il culo a portare avanti e indietro centinaia di chili di testata-e-cassa – e qui sì, sono costretto e contento a rientrare nel coro di chi sostiene che è una ZOZZERIA scaricare dischi di gruppi dell'ambiente underground, a meno che non sia lo stesso gruppo a volerne la diffusione gratuita “per motivi personali”.
C'è ancora voglia (è una follia, me ne rendo conto) di scommettere su un cavallo zoppo, dato che a fare i settepollici lo sa anche la nonna che non ci si rientra nei costi. Ma del resto, se si vuole rientrare nei costi non si fa il punk hardcore. Si fa la Saint-Louis e si lecca il culo ai Maestri Massoni della musica italiana (col rischio però di finire a fare il turnista per Michele Zarrillo. Vabè).
Ecco allora perchè tocca dare i nostri soldi agli Anti You:
- perché il disco è bello
- perché anche se non vi piace, arreda (ma se non vi piace avete dei problemi)
- perché così poi ne fanno un altro e io potrò parlarne di nuovo bene
- perché è un gesto, e i gesti significano qualcosa e a una certa anche basta lamentarsi
- (per i neofiti casaccius) perché un settepollici vi farà sembrare più hardcore delle Draven dei Misfits. Ve lo dico io che ormai ho un'età.
Insomma, ha ragione nervousbreakdown che ha scritto su Lamette che Pig City Life è letteralmente imperdibile, ha ragione perché è vero. Certo, è ironico che per trovare (o proporre) una novità tocchi scavare intorno alle radici, ma del resto la storia ha processi ciclici. Chiedetelo a Vico, anche se è morto. Come il punk, dicevano.
(E visto che ci siete, venite a dare anche i vostri soldi a John Stabb il 20 ottobre, è un ottimo pateravegloria che vi emenderà dal peccato di aver scaricato i cd dei Nabat da Soulseek. ...Come ho fatto io)
Playlist>
discharge: the final blood bath
aphex twin: yellow calx
sick of it all: the bland within
overhead: uprising
payback: the cause
minutemen: maybe partying will help
negative approach: nothing
sufjan stevens: chicago
spandau ballet: true
social distortion: born to lose
ray charles: you be my baby
crass: bata motel
feist: so sorry
Io di hardcore finora non ho parlato mai perché sono stato un po' a guardare e un po' ad ascoltare, e alla fine mi sono reso conto che sì, qui a Roma tutto sommato le cose non vanno poi così a cazzo di cane come si penserebbe. La gente si lamenta in continuazione del fatto che non c'è unity, del fatto che non c'è abbastanza supporto blah blah. Magari è vero, ma è vero pure che non è che abbiamo proprio l'idea perfetta di come stavano le cose 20, 25 anni fa. Non abbiamo nemmeno idea di come stessero le cose in America, a Washington, a New York o a Los Angeles. Nel senso che a lamentarsi sono buoni un po' tutti. E poi queste cose sono sempre delicatissime. È come chiedere a qualcuno com'è la propria facoltà: Ah no, lascia perdere, non funziona un cazzo. Nessuno è mai contento. Magari glielo vai a chiedere a Vinnie Stigma, a Ian McKaye, a Pete Koller, o a quel povero cristo di John Brannon, che a Detroit stava da solo: ti diranno tutti La scena dalle mie parti era un po' una merda, non funzionava un cazzo, eppure alla fine sono riusciti a farcela. Certo, ai concerti c'era sempre un boato di gente, ma tutto sommato, grazie al cazzo: in America C'È più gente, e poi hanno delle radio locali che a volte funzionano molto molto meglio delle nostre (perfino delle radio cosiddette “antagoniste” che però l'hardcore l'hanno sempre snobbato perché è sempre stato associato in maniera frettolosa a certi ambienti di destra che con l'HC hanno in comune solo l'abitudine a portare le teste rasate – o forse perché come musica di protesta hanno sempre preferito il piagnucolare rustico e dimesso dei cantautori italiani degli anni '70 che in quanto a presa di coscienza hanno ancora molto da insegnare, ma in quanto ad agitprop se permettete anche no), e insomma è lo stesso motivo per cui in America hanno gli atleti migliori: sono in tanti, il livello medio dev'essere per forza più alto. Che poi se vogliamo è anche il motivo per cui a Roma la media qualitativa delle band non è affatto male. Se cresci ascoltando i Growing Concern hai già un bel punto di riferimento con cui partire, per cui è abbastanza ovvio che se hai un minimo di intelligenza critica sai misurarti come si deve con i modelli. Ed è anche il motivo per cui non è proprio una stronzata parlare di scena, qui a Roma. Certo, c'è un'ovvia tendenza alla dispersione, all'entropia, al fare insomma ognuno per i cazzi suoi, ma ieri sera davanti a Hellnation c'era una bella popolazione di gente che si conosce, si apprezza reciprocamente e ha dei punti di riferimento e dei percorsi condivisi. Molti di loro hanno suonato insieme e se non l'hanno ancora fatto lo faranno, o alla fine non fa differenza perché si seguono a vicenda e da vicino. Non ci sono grosse rivalità, forse non ci sono nemmeno piccole rivalità: è chiaro che c'è gente in gamba, gente meno in gamba, teste di cazzo, faccendieri, leccaculo, attivisti, gente che si monta la testa, ma queste categorie sono categorie umane che in proiezione si possono trovare in qualsiasi agglomerato sociale: da un gruppo di persone che hanno qualcosa in comune a 200 cristiani che si trovano per caso sullo stesso vagone della Metro.
È chiaro che potrebbe essere meglio, che ci potrebbe essere più coesione, più partecipazione e cooperazione, più coerenza soprattutto, e un po' meno esibizionismo, ma dopotutto l'hardcore invece di (e prima che) essere una religione è una scheggia impazzita del rock and roll, e sono cinquant'anni che i rockandrollers trattano la propria chitarra come se fosse un'estensione del proprio pisello a beneficio della prima fila di belle figliole. Ce ne lamentiamo da mezzo secolo eppure non riusciamo a sottrarci alle stesse abitudini. Dev'essere genetico, famoce pace.
Non so di preciso dove volevo arrivare con questa considerazione, forse alla fine volevo fissare una sensazione che ho provato per un minuto ieri sera, appunto, e insieme uscire dal coro di gente che sostiene che a Roma la situazione sia pessima. No, non lo è. Comprate il settepollici degli Anti You e ve ne renderete conto. C'è ancora voglia di combattere, di incazzarsi e di farlo in canzoni da 20 secondi (come ai vecchi tempi) con le accordature standard (come ai vecchi tempi) e senza la parte mosh che a una certa pare che deve partire per prescrizione medica (anche questo come ai vecchi tempi, sì). E c'è ancora la voglia di farlo facendo riferimento alle forme di 25 anni fa, quelle grezze che vengono direttamente dalla Washington del 1981, uscendo dalla dimora confortante del new school di ispirazione Hatebreed-Terror, o dall'iconografia vegan straight edge di cui ho il massimo rispetto, ma anche un po' piene le scatole, soprattutto quando ostentato da neofiti casaccius e sventolato come salvacondotto anche da gruppi che onestamente (lo dico?) fanno notevolmente cacare (l'ho detto), come a ddì Aoh, io so' Veganstreitegg, sti cazzi che suono robba uguale a TUTTI GLI ALTRI. Come esse preti.
E soprattutto, c'è ancora voglia di farlo attraverso il mezzo punk hardcore per eccellenza: il vinile. Non si può masterizzare, è un oggetto che gira per casa e non in una cartella sull'hard disk dati, e soprattutto è un riferimento diretto e inequivocabile dell'apprezzamento e del seguito di una band – a differenza delle magliette, indice di gradimento principale (seppur non ortodosso) dei gruppi che giustamente non sanno come portare a casa altrimenti almeno due lire dopo essersi fatti il culo a portare avanti e indietro centinaia di chili di testata-e-cassa – e qui sì, sono costretto e contento a rientrare nel coro di chi sostiene che è una ZOZZERIA scaricare dischi di gruppi dell'ambiente underground, a meno che non sia lo stesso gruppo a volerne la diffusione gratuita “per motivi personali”.
C'è ancora voglia (è una follia, me ne rendo conto) di scommettere su un cavallo zoppo, dato che a fare i settepollici lo sa anche la nonna che non ci si rientra nei costi. Ma del resto, se si vuole rientrare nei costi non si fa il punk hardcore. Si fa la Saint-Louis e si lecca il culo ai Maestri Massoni della musica italiana (col rischio però di finire a fare il turnista per Michele Zarrillo. Vabè).
Ecco allora perchè tocca dare i nostri soldi agli Anti You:
- perché il disco è bello
- perché anche se non vi piace, arreda (ma se non vi piace avete dei problemi)
- perché così poi ne fanno un altro e io potrò parlarne di nuovo bene
- perché è un gesto, e i gesti significano qualcosa e a una certa anche basta lamentarsi
- (per i neofiti casaccius) perché un settepollici vi farà sembrare più hardcore delle Draven dei Misfits. Ve lo dico io che ormai ho un'età.
Insomma, ha ragione nervousbreakdown che ha scritto su Lamette che Pig City Life è letteralmente imperdibile, ha ragione perché è vero. Certo, è ironico che per trovare (o proporre) una novità tocchi scavare intorno alle radici, ma del resto la storia ha processi ciclici. Chiedetelo a Vico, anche se è morto. Come il punk, dicevano.
(E visto che ci siete, venite a dare anche i vostri soldi a John Stabb il 20 ottobre, è un ottimo pateravegloria che vi emenderà dal peccato di aver scaricato i cd dei Nabat da Soulseek. ...Come ho fatto io)
Playlist>
discharge: the final blood bath
aphex twin: yellow calx
sick of it all: the bland within
overhead: uprising
payback: the cause
minutemen: maybe partying will help
negative approach: nothing
sufjan stevens: chicago
spandau ballet: true
social distortion: born to lose
ray charles: you be my baby
crass: bata motel
feist: so sorry
4 commenti:
Prima dei Growing Concern (per chi non lo sapesse, il mio primo acquisto da Robberto' a 15 anni e mezzo...), si poteva crescere a Bloody Riot. Mettiamola cosi': da queste parti c'ha detto veramente bene.
Questo solo per dire che si puo' andare anche piu' indietro dei GC e avere lo stesso un'ampia scelta.
dirò una cosa che non ti piacerà:
se l'hc quello vero trova le sue radici a washington nel 1981 il tuo buonismo ce le ha dritte dritte, profonde profonde, nell'apparato riproduttore di quella gran figa della tua fidanzata.
con tanto di cappello eh.
rimpiango amaramente la tua misantropia.
MA il post è buono.
perdonami, lo so non dovevo scriverlo.
hai seeeeempre tutta la mia stima.
gerbillo mio te sei impazzita durante il sabato ma ti ano lo stesso.
a.
Grazie.
Chef, AY.
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