27 giugno 2008

chi si estrania dalla lotta...

Caro cuoco,

Ti rispondo qui perché il tuo ultimo intervento mi sembra degno di un commento, perché volevo mandarti un'altra risposta alla tua altrettanto accorata email di ieri (voialtri fatevi i cazzi vostra) e perché me l'hai anche chiesto per sms, quindi non potevo proprio esimermi - o trattenermi.
Inoltre, hai scritto il post che io non ho mai scritto perché non ho mai avuto occasione, perché non mi ha mai retto la pompa, ma anche perché ho sempre assimilato gettare merda su Alias (te lo dico senza la minima polemica) allo sparare sulla Croce Rossa.

Al di là del fatto che sia ridicolo più che vergognoso che un redattore di una rubrica, di una rivista, di un rotolo di carta igienica musicale non sia documentato su ciò di cui parla e decida comunque di parlarne, il problema di Alias non è la sua costante impreparazione su tutto ciò che sta al di fuori del suo cortile, la specializzazione è tutto, soprattutto per quanto riguarda la stampa e la stampa musicale: se così non fosse avremmo ancora Tutto tra le palle e non si sarebbe compiuto il miracolo editoriale degli anni ’90 (anche se in realtà è pure vero che il problema è uscito dalla porta e rientrato dalla finestra perché alla scomparsa di tutto è emerso il NEMICO cioè il supplemento musicale di Repubblica, che poi è diventato il supplemento tipo pasta-al-tutto di Repubblica).
Il problema di Alias è il suo cortile tout court, il suo taglio editoriale. Ma facciamo un passo indietro (e scriviamo proprio questa frase, ché Nanni è contento).

Forse era Marcuse che diceva che non ci sono più le classi, ma solo categorie merceologiche differenziate. Marcuse o no, era un figo e noi tra meno di quindici giorni berremo Ieghemaista alla sua. L’Espresso ha il suo pubblico e i suoi sponsor, Oggi ha il suo pubblico e i suoi sponsor, Diva & Donna ha il suo pubblico e i suoi sponsor. Perché Alias (e il suo ceppo) dovrebbero fare eccezione? Un giornale sopravvive non tanto se ha un pubblico (chiedi alla testata dell’Udeur) ma se ha soldi, e i soldi non arrivano dalle edicole.
Il manifesto, con le sottoscrizioni, l’abbiamo visto che non ci campa – sennò non verrebbe a battere cassa tre volte all’anno. E anche questo te lo dico senza il minimo cinismo. Apprezzo quella testata, e spero che continui la sua missione per molti anni, nonostante mi rompa le palle come poche cose al mondo.
Ma – attenzione, e attenzione Nanni – abbiamo già fatto un altro passo indietro, anche questo riflette un certo tipo di orientamento che certo è ideologico e politico, sociale, ma anche merceologico e schiettamente editoriale. I comunisti sono gente pallosa, Cuoco. Ma pallosa forte. Pallosa del tipo festa di Liberazione col cantante mesto, piede sulla sedia e cover di Guccini con tanto di omaggio alla erre moscia, NESSUNO si diverte.
Per carità, spargere la voce che si è noiosi contribuisce un sacco al potersene rimanere in pace una volta per tutte: aggredire i vicini con il fantasma di Lenin evita lo small talk e i commenti sul prezzo dei fusilli. Ma un conto è l’autodifesa, un conto è l’harakiri.
Il lettore di Alias (che poi mediamente è anche il suo redattore), che poi è il lettore del manifesto, che poi è l’elettore di sinistra – la sinistra critica che non passa alle elezioni, Cuoco, intendiamoci: la sinistra che merita ancora questo nome – è il palloso barbuto e sandaluto che non ride perché pensa al Chiapas e non beve Coca-Cola perché vuole andare in culo all’imperialismo gringo, piange perché Augusto Daolio è morto e gli manca Pajetta.
Cuoco, cazzo: il lettore medio del manifesto e elettore medio dei partiti della sinistra, è la zecca. Consapevole, cosciente, attenta, ma sempre zecca è.
Capito questo si capisce tutto. Si capisce perché tale R.Pe. non ha idea di chi sia Langhorne Slim e pensa che l’alt-country sia una trovata promozionale, si capisce perché magari snobba Springsteen salvo osannarlo quando ciccia fuori con le Seeger Sessions, si capisce perché su Alias si parla solo di folk balinese, cinema indipendente socialista lappone o visioni femministe di Lacan. Più che un settimanale di cultura musica e visioni o che cavolo dice la testatina, pare il catalogo di Rinascita a Botteghe Oscure.
Alias, ho pensato dall'inizio, non fa per me, che sono talmente medio che è un miracolo che la gente non mi cammini attraverso, che non sto sveglio la notte a pensare al postimperialismo spacciato attraverso il rock and roll e il cinema di Hollywood, e che onestamente sostengo e difendo che se Lenin in persona avesse fatto un disco di canti popolari, con tutta probabilità mi avrebbe fatto CACARE, dato che se scegli di essere musicista sei PRIMA musicista e POI politico o politicante, e che potrai avere ragione quanto vuoi, ma resta il fatto che se non mi piaci, il tuo cd vola via dalla finestra.
Per carità, parliamo di cose utili, di cose imporantissime, ma parliamo di cose che non interessano a nessuno: francamente penso che la penetrazione statistica dei loro articoli sia pari a quella di uno studio sulla storia sociale del mais nella Lunigiana. Eppure noi ce la siamo fatta andare bene (anche se non sono nemmeno sicuro di poter dire ancora Noi, sai?), abbiamo premiato il solito terzomondista colorato con le mani dipinte di bianco, abbiamo voluto incontrare le nuove frange della cultura popolare ovunque questa si annidasse e rimanesse monda dal corrotto imperialismo statunitense. Abbiamo fondato una nuova religione, martire, grama e vessatoria come quella che volevamo combattere. Un altro cattolicesimo, in altre parole.

Noi, Alias, il manifesto, la sinistra italiana. Gente fuori dal mondo, fuori dalla realtà e fuori dal vero accadere delle cose. Gente che si distrae spostando sempre più in là l’obiettivo per non doversi arrendere alla propria impotenza e non confessare il proprio ascetismo codardo e irresponsabile.
Ce la siamo presi col disimpegno degli anni 80, la rinuncia da parte della popolazione alla partecipazione attiva alla politica, alla palude democristiana, senza renderci conto che anche noi abbiamo avuto il nostro disimpegno, e con esso sono arrivate le sacrosante distrazioni kosher, opportunamente rilanciate e promosse da R.Pe. e sodali.
E mo’? Mo’ non sappiamo più che accade, chi sono queste persone con questi microfoni in mano, dove sono finiti gli Inti Illimani, cos’è questa musica che stiamo facendo e che musica ci infilano su per il culo mentre pensiamo ad altro, e perché strillate così e perché siete così incazzati e perché questi volumi così alti è una cosa innaturale questa musica divide non unisce e poi questo approccio fisico sembra che state litigando e non vi divertite dov’è la gioia dov’è il divertimento, e poi siamo tutti bravi a scimmiottare gli americani con le nostre chitarre elettriche non c’è mai niente di nuovo Elvis era nazista ci hai mai fatto caso che fate ancora la sua musica? Ridi Cuoco, ridi: a me ‘ste cose me le hanno dette davvero.
Mentre si discettava sull’opportunità di portare la rivoluzione in Belize, ci si indignava per il massacro in Darfur e il genocidio in centr’Africa (tutte cose nobili e importanti), i fascisti sono saliti al potere (i fascisti, beninteso, sparso per TUTTO l’arco costituzionale), hanno preso tutto e ci hanno messo in condizioni di dover chiedere scusa per il nostro passato.
Ma che je voi dì, a sta gente? È più comodo ignorare il nemico piuttosto che combatterlo, illudersi che un altro mondo è possibile piuttosto che dover reimparare la lingua che parla questo. A fare la guerra fanno male le gambe, e poi fa caldo, meglio una grattachecca glocal.
Noi, faccia lavata, adesso ci ride addosso tutta quest’Italia ingrata e mongoloide, ma siamo contenti e coerenti, e niente Nike ai piedi, vedete?



PLAYLIST>
Stars of the Lid: Arch song
Suicidal Tendencies: Won’t fall in love today
The Rolling Stones: Love in vain
Tom Waits: Midtown
James Brown: Payback
Minor Threat: Seeing red
The Kinks: Sunny afternoon
The Police: Darkness
The Contours: Do you love me
Bad Brains: Sailin’ on
Erode: Frana la curva
Thelonious Monk Quartet: Just a gigolo
Discharge: The final blood bath
Slayer: Dead skin mask

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