1 gennaio 2008

il re è morto, viva il re

Vabbe' che già seguendo un minimo il blog (voi due o tre poveri cristi) vi sarete fatti un'idea di cosa ci è piaciuto e cosa no, del mare di roba che è uscita in questi ultimi 12 mesi. Sarebbe anche inutile dunque che voi due o tre poveri cristi dobbiate leggere un altro post in cui ci sono scritte cose che sapete già - se non ve le ho dette direttamente di persona - ma (colpo di scena) è anche vero che ci possono essere sorprese all'ultimo minuto.
Sorprese, poi, che possono essere di sicuro dischi usciti da poco (non ci dimentichiamo che a dicembre si concentra più o meno la metà delle uscite discografiche dell'anno, soprattutto quelli pubblicati dalle major moribonde e paracule), ma anche dischi ascoltati da poco, ché uno mica ce la fa a stare appresso a tutto. Io ce la metto tutta a stare dietro alle novità, ai consigli, alle nuove sensazioni del momento, ma se poi mi accorgo che non ho ancora mai sentito un cazzo di Art Tatum, ecco, QUELLO è un problema: non voglio fare la fine di quelli che conoscono tutte le outtakes e tutti i demo dell'ultimo impostore pompato da NME senza sapere da dove questo impostore viene, e soprattutto perché in confronto al suo modello fa immancabilmente VOMITARE. La musica è una faccenda genealogica, e chi sostiene il contrario vada a fare in culo. Voilà.

A differenza di altri, ci limiteremo (o almeno io mi limiterò, questo blog è anarchico, e ognuno fa quel cazzo che vuole e viva Durruti) a indicare solo 5 dischi per questo 2007. Questo per molteplici motivi:
1. siamo froci per High Fidelity e non c'è motivo per cui un mucchio di nerd come noi non dovrebbe pagare tributo a questo feticcio
2. tutto sommato - e non (solo) per fare i disfattisti - non è che questo 2007 abbia proprio brillato per soddisfazioni. se perfino il cuoco minaccia ritorsioni contro Springsteen vuol dire che non è andata troppo bene, e allora più di 5 dischi buoni, degni di finire in una top 5, sfido chiunque a trovarne
3. non c'è un 3: Letterman ti voglio bene.

In ordine sparso (ditemi voi se si possono mettere in graduatoria 5 dischi così)

radiohead: in rainbows
Indipendentemente dall'essere un fan incondizionato dei Radiohead, ci si aspettava un po' tutti che il loro nuovo disco (che tra l'altro vabbé i 3 anni dall'ultimo, ma ci hanno fatto aspettare SEI MESI per farlo uscire) sarebbe stato il disco dell'anno - e per le motivazioni di questo vi rimando al succitato punto 2. In Rainbows è il disco miracolo dei Radiohead, il loro Revolver; anzi, meglio: il loro Rubber Soul. Canzoni efficaci, sintetiche e non necessariamente figlie dello studio di registrazione. Più sobrietà, più concisione e un linguaggio rivoluzionario legato però più alla sostanza che alla forma: le canzoni - che raramente seguono la struttura convenzionale strofa-ritornellox2-bridge-coda - hanno una discorsività più ampia e lineare, piuttosto che circolare, vanno SEMPRE a parare da qualche parte: invece di ripetere gli elementi musicali più efficaci, hanno fatto ricorso alla loro espansione, all'approfondimento, a una sorta di variazione del tema che rende i brani più vari ma mai incoerenti. Appena uscito questo disco si è piazzato al terzo posto subito dopo Kid A e OK Computer, ma oggi, dopo un mese di ascolto praticamente incessante, non è detto che sia inferiore a quello che finora viene considerato il loro capolavoro.
In più, In Rainbows è il miglior disco del 2007 perché è il più grosso dito in culo del music business che si ricordi dai tempi della controversia ASCAP/BMI. I Radiohead hanno usato tutta la loro fama NON per strappare un rinnovo da capogiro alla loro etichetta - o per trovarne una nuova che leccasse loro il culo fino a consumarsi la lingua - ma per dimostrare al mondo intero che dei cravattari cravattati del mondo major ne abbiamo piene le palle e zero bisogno. Ma siccome non mi piace ripetermi (non è vero, lo adoro ma non ho tempo), vi rimando volentieri a un post che ho scritto qualche settimana fa.

anti-you: pig city life
Stesso discorso: qualsiasi disco che abbia in copertina berlusconi col cappio e il muso da porco non può non diventare uno dei miei prediletti. Anche del 7" degli Anti-you ho parlato in abbondanza qualche settimana fa. Oltre alle lodi sperticate che ho affastellato allora al massimo posso consigliarvi di andarveli a vedere dal vivo (possibilmente sotto il palco, così vi arriva anche qualcuno in faccia, cosa che aumenta di gran lunga il divertimenti) e meravigliarvi del fatto che in media gli applausi sono sempre più lunghi delle loro canzoni. Meglio gruppo pancarcor de noantri, senza dubbio.

feist: the reminder
Ecco, forse questa era meno scontata, nel senso che non ne avevo ancora parlato prima, o forse solo in maniera marginale. E se ne avevo parlato, pure, era per elogiare il suo disco precedente e ringraziare chi me lo aveva consigliato. Let it die era stato un disco che seppure inizialmente avevo bollato come fashionista e superficiale, alla fine invece (complici delle melodie davvero infettive) si è rivelato ben pensato, ben scritto, ben prodotto e ben tutto quanto, rimanendo uno dei miei preferiti del duemilaqualcosa in cui è uscito, e in definitiva uno dei dischi che riascolto più spesso con piacere (e considerate che non è una cosa da poco perché passo TROPPO tempo ad ascoltare cose nuove).
The reminder anche: all'inizio mi era sembrato un compendio di quello che piace alle ragazzine (ragazzine maschi e ragazzine femmina, senza distinzione) che leggono Vice e non si perdono una serata del fish-n-chips: occhieggiamenti all'electro-pop degli anni 80, ritmi disco con batterie senza punta, majette a righe, roba del genere. Beninteso, in The reminder tutta questa roba ci sta, ma è funzionale alla riuscita delle canzoni che sono sempre concise, divertenti e appassionanti. Insomma, ancora una volta Feist mi dimostra che avevo torto. Su di lei. Sulle ragazzine (maschi e femmina) del fish-n-chips no.

jesu: conqueror
Anche di questo disco ho parlato a profusione. Molti miei amici dopo aver letto quello che avevo scritto diverso tempo fa non hanno potuto non procurarselo, alcuni rimanendone impressionati e affezionandocisi subito - altri mandandomi a cagare e preoccupandosi per un peggioramento sensibile dei miei gusti musicali. Anche ascoltato dopo mesi dalla fissa iniziale, Conqueror rimane un disco entusiasmante, pieno di idee geniali e di un calore intensissimo - anche se nascosto, questo sì. Certo, dopo tutti questi mesi la produzione smaccatamente metal inizia a mostrare la corda, ma del resto quello sempre Justin Broadrick è, un fondatore dei Napalm Death, uno che poi si è messo a fare pazzie industriali: da gente così il gusto per il suono arriva sempre con beneficio d'inventario. E poi dopotutto sticazzi, perché per sentire (nel senso di to feel, l'italiano purtroppo non ci viene sempre in aiuto quando servirebbe) la candida bellezza di questo disco tocca alzare il volume a palla, e in quel caso il suono diventa una specie di fragoroso sipario che sta tutto intorno, e fa quello che deve fare: aprirsi per farci vedere le cose.
Beninteso, poi di questa cosa di alzare il volume a palla ne parleremo per bene.

U2: the joshua tree (20th anniversary edition)
Ok ok, non rompete i coglioni, lo so benissimo che non è uscito nel 2007 ma vent'anni fa. Tutto sommato - vista la penuria e visto che sì: sono un fan degli U2 - questa riedizione con tanto di b-sides e DVD documentario è una bomba. The joshua tree è uno dei dischi più importanti degli anni 80 - e non solo, diciamocelo: andatemelo a pescare un gruppo che abbia bissato in quel modo il connubio tra un genere morente che avevano inventato e le nuove ispirazioni che hanno vissuto in giro per il mondo. Una specie di Combat rock, insomma, se gli U2 fossero stati un gruppo punk - e soprattutto se i Clash fossero riusciti a fare un BEL disco con Combat rock, invece di rovinarlo perché erano quattro stronzi permalosi, ma questa è un'altra storia e sono sicuro che meglio di me prima o poi il cuoco tira fuori 20.000 battute di fuoco su voi pecioni, sui Clash e su come mediamente non avete mai capito un cazzo del punk. Dicevamo.
Gli U2 sono come i Nirvana o Del Piero: essendo patrimonio comune e qualcosa che bene o male non ha mai rotto le palle a nessuno, tutti sentono la necessità di pisciarci sopra. Negli anni 90 (nei tardi anni 90) sono stati bersagliati dalla stampa e dai nuovi "gruppi famosi" come dei dinosauri, come un gruppo fuori dal tempo, come qualcosa di cui sbarazzarsi. Normale, si tende sempre a cagare sul decennio precedente, salvo poi andarsene in fissa dieci anni dopo (guardate cosa sta succedendo oggi con gli anni 80 e le pettinature e gli stivali col tacco basso e le grafiche fluo: se tra dieci anni torna di moda il mullet di McGyver vi giuro che vi faccio deportare in Ungheria dove quello è l'unico mondo possibile). In più, i cari quattro dubliners ci hanno anche aggiunto del loro sfornando in rapida sequenza un disco di merda e due dischi insipidi, solo qua e là arricchiti da qualche lampo di genio. Ci sta tutto, ci mancherebbe: anche i rolling stones hanno fatto delle santissime stronzate, dopo vent'anni di attività, quindi diamo loro tempo. Mo' sta girando voce che abbiano ricominciato a collaborare con Brian Eno: finalmente un po' di buon senso, che la nonna quando dice Squadra che vince non si cambia non va sempre trattata da rincoglionita.
In ogni caso: The joshua tree che vi piaccia o no rimane uno dei dischi più importanti degli ultimi 20 anni. In più va riconosciuta agli U2 l'onestà commerciale di aver pubblicato solo due greatest hits e un'edizione speciale in ventott'anni di carriera. Il che non rende certo più bello il disco (anche perché non ne ha bisogno) ma testimonia a favore del fatto che questo disco è un documento, che va preservato e trasmesso. E se non vi piace, pazienza, avete sempre il fish-n-chips.

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