In un esilarante standup che si chiama Hilarious (appunto), Louis C.K. parla del fatto che non si può incazzare o mettersi a discutere con la sua bimba di tre anni perché, beh, è una bimba di tre anni.
Ora ok: QUALSIASI cosa dica secondo me è vera e lo vorrei Segretario Generale dell'ONU, ma gli voglio bene perché stavo pensando da due ore all'angolazione migliore anche solo per iniziare a parlare di questo libro, e solo quando mi è venuto in mente lui ho capito una cosa importante e infatti voilà, 300 battute. Grazie Louis.
Intanto: la cosa che mi brucia davvero, è che questo libro l'abbia fatto uscire minimum fax: Einaudi o vabbé, Mondadori, pure pure; ma loro, ai miei occhi uno degli ultimi baluardi di dignità nel bunga bunga dell'editoria italiana, francamente mi hanno fatto rosicare. Perché? Ecco perché:
Chiunque sappia cosa penso della musica italiana sa che la ritengo provinciale, pedante, masturbatoria e accessoria, e ho sempre avuto il sospetto che in realtà non piaccia a nessuno, se non come può piacere una mascotte: qualcosa che partecipa al grande match del mondo ma da bordo campo, senza mai entrare in gioco: lo guardi e pensi Oh che carino esattamente come pensi Sticazzi lèvati che non vedo niente.
(E non mi venite a dire che non è così: vi ho sentito dire troppe volte "non sono male, per essere italiani" per potervi credere ancora.)
Dunque COSA ha spinto minimum fax a mettere in piedi un libro del genere? Non un ebook, insomma: un VOLUME FISICO, fatto di CARTA, realizzata da ALBERI, trattata con solventi e stampata in inchiostro, impaginato con costosi computer che richiedono energia e attenzione e ore lavoro, libri trasportati da VEICOLI che consumano CARBURANTE, e in un periodo di crisi come questo?
Quando Stile Libero pubblicò il libro di Albertino costringendomi a vestirmi a lutto, o Feltrinelli fece uscire Jovanotti pensai a una cosa sola: i SOLDI.
Che c'è? Sono uno stronzo e ve lo dico: ho pensato che questo libro va a coprire in maniera ergonomica un segmento di mercato principalmente composto da donne che ascoltano questa musica (e da uomini che la ascoltano solo per fare colpo su di loro).
Nella sua prefazione, Chiara Baffa, curatrice della raccolta, accenna alla tradizione di libri firmati da musicisti che sono spuntati come funghi negli ultimi anni (metafora azzeccata). Nelle sue intenzioni, questo libro vuole chiudere il cerchio tra parole e musica, rimettere implicitamente la penna nelle mani di persone che sono scrittori o poeti anche se fanno i musicisti, capire cosa hanno da dire sul mondo, sui rapporti, sulle cose.
Peccato non rammentare il fatto che la musica italiana, per quanto possa dichiararsi "alternativa" rimane il tempio di una tradizione e di una conservazione ai limiti del reazionario, non avendo mai nemmeno provato a scrollarsi di dosso la struttura strofa-ritornello o il verbocentrismo da melodramma, in cui la voce sta DAVANTI e il resto SEMMAI. Certo, in una nazione musicalmente avanzata dotata di una critica musica competente, saremmo abbastanza istruiti da sentire immediatamente la puzza di bruciato, e un libro del genere non avrebbe senso, ma così è anche se non ci pare: occorre che sia la gente che fa i libri a parlarci di musica, o dei musicisti. O peggio ancora, i musicisti stessi. Già perché mo' arriva la pioggia.
Cosa volete sentire non parla di musica. Parla di musicisti.
Peggio: parla di gente che parla di se stessa e ci tiene particolarmente a riportarci le proprie idiosincrasie, i propri disagi, o a farci accomodare ai suoi piedi e narrarci di quando l'Italia era piccola e provinciale (non come adesso, vero?) e loro erano persone con un sogno, diverse dalla massa. Quando non variazioni sul tema del mal di vivere, i tredici pezzi che compongono il libro sono una risacca di revival intenerito, nostalgico (e autocelebrativo) degno di Stracult o di un pezzo X degli 883: i baretti, gli anni 80, gli strumenti da quattro soldi, gli autogrill, gli impresari arronzoni e arraffoni, stessa storia stesso posto stesso bar, uno scenario ormai anche troppo consueto in cui l'eroe (riconoscibile anche negli affettati panni dell'antieroe) prevale grazie alla sua sensibilità di poeta NONOSTANTE l'Italia che ha intorno - e a quanto pare, NONOSTANTE il rock and roll di cui in quest'Italia e in queste pagine non c'è la minima traccia, così come non c'è traccia del minimo divertimento nel fare la musica, o nell'ascoltarla.
Ma poi, onestamente, tra me e voi: ma chi diavolo ha bisogno di un libro con dentro un racconto di Dario Brunori o di Maria Antonietta? E nemmeno un racconto nel senso stretto del termine, un pezzo di prosa in cui qualcosa viene narrato. Nah, qui al massimo rimediamo scene di vita vissuta tratteggiate impressionisticamente, poesia beat, enciclopedie del picaresco, souvenir d'Italie e un milione e mezzo di sfaccettature del saperla lunga: una lunga, inesorabile celebrazione del nulla più scamosciato, con solo lo 0.4% di divertimento.
Insomma: Cosa volete sentire poteva essere finalmente una buona occasione per liberarsi dalla nomea di tromboni che questi poeti-maledetti-casualmente-musicisti si sono conquistati con tanta ostinazione, e invece non fa che metterci il carico da 90 sopra; Cosa volete sentire poteva essere un VH1 storytellers in bianco e nero, e invece è una specie di Isola dei semi-famosi di cui non ha bisogno né chi vuole leggere poesia o narrativa, né chi vuole saperne di più sulla musica (perfino sulla loro). Cosa volete sentire poteva essere un libro utile, interessante, e invece è una sfilata di ego tipo Carnevale di Viareggio.
Ma è QUI che Louis mi ha dato forza: non posso arrabbiarmi con questa gente. Loro sono cantautori italiani, sono ciò che sono: troppo artisti e troppo profondi e tormentati e intellettualmente imbarzottiti per porsi il problema alla mia noia; troppo se stessi, malaticci di default e ansiosi di parlarmi in maniera diffusa e particolareggiata del loro ombelico, che poverini mi sa che è tutto ciò che conoscono.
E allora come faccio a prendermela con loro, Louis? Sarebbe come litigare con una bambina di tre anni e non si litiga con una bambina di tre anni. Semplicemente non si fa.
Ora ok: QUALSIASI cosa dica secondo me è vera e lo vorrei Segretario Generale dell'ONU, ma gli voglio bene perché stavo pensando da due ore all'angolazione migliore anche solo per iniziare a parlare di questo libro, e solo quando mi è venuto in mente lui ho capito una cosa importante e infatti voilà, 300 battute. Grazie Louis.
Intanto: la cosa che mi brucia davvero, è che questo libro l'abbia fatto uscire minimum fax: Einaudi o vabbé, Mondadori, pure pure; ma loro, ai miei occhi uno degli ultimi baluardi di dignità nel bunga bunga dell'editoria italiana, francamente mi hanno fatto rosicare. Perché? Ecco perché:
Chiunque sappia cosa penso della musica italiana sa che la ritengo provinciale, pedante, masturbatoria e accessoria, e ho sempre avuto il sospetto che in realtà non piaccia a nessuno, se non come può piacere una mascotte: qualcosa che partecipa al grande match del mondo ma da bordo campo, senza mai entrare in gioco: lo guardi e pensi Oh che carino esattamente come pensi Sticazzi lèvati che non vedo niente.
(E non mi venite a dire che non è così: vi ho sentito dire troppe volte "non sono male, per essere italiani" per potervi credere ancora.)
Dunque COSA ha spinto minimum fax a mettere in piedi un libro del genere? Non un ebook, insomma: un VOLUME FISICO, fatto di CARTA, realizzata da ALBERI, trattata con solventi e stampata in inchiostro, impaginato con costosi computer che richiedono energia e attenzione e ore lavoro, libri trasportati da VEICOLI che consumano CARBURANTE, e in un periodo di crisi come questo?
Quando Stile Libero pubblicò il libro di Albertino costringendomi a vestirmi a lutto, o Feltrinelli fece uscire Jovanotti pensai a una cosa sola: i SOLDI.
Che c'è? Sono uno stronzo e ve lo dico: ho pensato che questo libro va a coprire in maniera ergonomica un segmento di mercato principalmente composto da donne che ascoltano questa musica (e da uomini che la ascoltano solo per fare colpo su di loro).
Nella sua prefazione, Chiara Baffa, curatrice della raccolta, accenna alla tradizione di libri firmati da musicisti che sono spuntati come funghi negli ultimi anni (metafora azzeccata). Nelle sue intenzioni, questo libro vuole chiudere il cerchio tra parole e musica, rimettere implicitamente la penna nelle mani di persone che sono scrittori o poeti anche se fanno i musicisti, capire cosa hanno da dire sul mondo, sui rapporti, sulle cose.
Peccato non rammentare il fatto che la musica italiana, per quanto possa dichiararsi "alternativa" rimane il tempio di una tradizione e di una conservazione ai limiti del reazionario, non avendo mai nemmeno provato a scrollarsi di dosso la struttura strofa-ritornello o il verbocentrismo da melodramma, in cui la voce sta DAVANTI e il resto SEMMAI. Certo, in una nazione musicalmente avanzata dotata di una critica musica competente, saremmo abbastanza istruiti da sentire immediatamente la puzza di bruciato, e un libro del genere non avrebbe senso, ma così è anche se non ci pare: occorre che sia la gente che fa i libri a parlarci di musica, o dei musicisti. O peggio ancora, i musicisti stessi. Già perché mo' arriva la pioggia.
Cosa volete sentire non parla di musica. Parla di musicisti.
Peggio: parla di gente che parla di se stessa e ci tiene particolarmente a riportarci le proprie idiosincrasie, i propri disagi, o a farci accomodare ai suoi piedi e narrarci di quando l'Italia era piccola e provinciale (non come adesso, vero?) e loro erano persone con un sogno, diverse dalla massa. Quando non variazioni sul tema del mal di vivere, i tredici pezzi che compongono il libro sono una risacca di revival intenerito, nostalgico (e autocelebrativo) degno di Stracult o di un pezzo X degli 883: i baretti, gli anni 80, gli strumenti da quattro soldi, gli autogrill, gli impresari arronzoni e arraffoni, stessa storia stesso posto stesso bar, uno scenario ormai anche troppo consueto in cui l'eroe (riconoscibile anche negli affettati panni dell'antieroe) prevale grazie alla sua sensibilità di poeta NONOSTANTE l'Italia che ha intorno - e a quanto pare, NONOSTANTE il rock and roll di cui in quest'Italia e in queste pagine non c'è la minima traccia, così come non c'è traccia del minimo divertimento nel fare la musica, o nell'ascoltarla.
Ma poi, onestamente, tra me e voi: ma chi diavolo ha bisogno di un libro con dentro un racconto di Dario Brunori o di Maria Antonietta? E nemmeno un racconto nel senso stretto del termine, un pezzo di prosa in cui qualcosa viene narrato. Nah, qui al massimo rimediamo scene di vita vissuta tratteggiate impressionisticamente, poesia beat, enciclopedie del picaresco, souvenir d'Italie e un milione e mezzo di sfaccettature del saperla lunga: una lunga, inesorabile celebrazione del nulla più scamosciato, con solo lo 0.4% di divertimento.
Insomma: Cosa volete sentire poteva essere finalmente una buona occasione per liberarsi dalla nomea di tromboni che questi poeti-maledetti-casualmente-musicisti si sono conquistati con tanta ostinazione, e invece non fa che metterci il carico da 90 sopra; Cosa volete sentire poteva essere un VH1 storytellers in bianco e nero, e invece è una specie di Isola dei semi-famosi di cui non ha bisogno né chi vuole leggere poesia o narrativa, né chi vuole saperne di più sulla musica (perfino sulla loro). Cosa volete sentire poteva essere un libro utile, interessante, e invece è una sfilata di ego tipo Carnevale di Viareggio.
Ma è QUI che Louis mi ha dato forza: non posso arrabbiarmi con questa gente. Loro sono cantautori italiani, sono ciò che sono: troppo artisti e troppo profondi e tormentati e intellettualmente imbarzottiti per porsi il problema alla mia noia; troppo se stessi, malaticci di default e ansiosi di parlarmi in maniera diffusa e particolareggiata del loro ombelico, che poverini mi sa che è tutto ciò che conoscono.
E allora come faccio a prendermela con loro, Louis? Sarebbe come litigare con una bambina di tre anni e non si litiga con una bambina di tre anni. Semplicemente non si fa.
Una bambina di tre anni la si lascia in pace e la si fa parlare finché non si sfinisce e si addormenta e sì può andare di là ad ascoltare finalmente un bel disco.