Robert
Greene e Joost Elffers (ed.)
Le 48 leggi del potere
Baldini & Castoldi - 2003
Non sono del tutto sicuro del motivo per cui a un mio amico sia
apparso urgente dovermi regalare questo libro. Cioè, per certi versi
capisco che fosse un periodo in cui mi serviva un po’ più di autorità e
freddezza e polso nei miei stessi confronti in primis, e in più il mio
caro amico mi aveva avvertito che questo libro mi avrebbe probabilmente
reso un calloso superomista o un cinico nazista. Il che fa ridere perché
sa meglio di me che non voglio diventare niente del genere. Un nazista,
intendo.
Il libro in questione è “Le 48 leggi del potere”, curato da Robert
Greene e Joost Elffers, un corposo vademecum di 600 e passa pagine sul
come farsi crescere il pelo sullo stomaco traendo spunto e insegnamento
da valanghe di esempi, aneddoti storici e parabole letterarie. Il tutto,
manco a dirlo, inteso ad avvalorare la tesi goebbels-darwiniana per la
quale solo il più forte e il più bastardo sono destinati a sopravvivere.
Di queste 48 leggi, ognuna corredata di sterminati riferimenti e
richiami, alcune sono semplici varianti di un ceppo principale (tendere a
tacere, curare l’apparenza e l’aspetto, nascondere le proprie
intenzioni e soprattutto essere implacabili implacabili implacabili nel
perseguimento del proprio obiettivo), per cui si insinua il dubbio che
magari si potevano anche ridurre a una quarantina scarsa, ma poco
importa. Poco importa anche che alcuni di essi si mostrino parzialmente
contraddittori, come quello relativo al concentrarsi su un solo
obiettivo accanto al dettame di non asservirsi a un solo scopo.
D’altronde, il libro insegna anche a usare diversi approcci a seconda
del proprio scopo. (Maledizione, sono contagiato).
Ciò che importa, al contrario, è la visione del mondo come una vasca
senza fondo piena di squali, da affrontare con tutte le risorse a
propria disposizione, e la clinica spietatezza con cui la visione del
potere come obiettivo astratto viene posta davanti e prima di tutti:
amici, parenti, familiari, etica, buoni pasto.
Greene e Elffers non specificano infatti in cosa, dopotutto, consista il potere: se sia questo il successo, affermazione, realizzazione di sé o esercizio incontrastato di una volontà su un’altra, non hanno nemmeno bisogno di delinearlo. Il potere è il raggiungimento di uno scopo, di un obiettivo, di un McGuffin hitchcockiano che poi lo sapete solo voi cos’è, se avete bisogno di sfogliare queste pagine – cosa che francamente non mi auguro e non vi auguro.
Greene e Elffers non specificano infatti in cosa, dopotutto, consista il potere: se sia questo il successo, affermazione, realizzazione di sé o esercizio incontrastato di una volontà su un’altra, non hanno nemmeno bisogno di delinearlo. Il potere è il raggiungimento di uno scopo, di un obiettivo, di un McGuffin hitchcockiano che poi lo sapete solo voi cos’è, se avete bisogno di sfogliare queste pagine – cosa che francamente non mi auguro e non vi auguro.
Personalmente, nonostante i gustosissimi e numerosissimi episodi
citati nel libro (che prende a mani basse dalle biografie di truffatori,
seduttori o peggio: uomini di stato), non ho potuto che ingoiare con
una smorfia questa imponente bibbia della manipolazione delle menti ma
anche dei sentimenti altrui, in cui perfino umiltà, onestà e sincerità
sono espedienti e carte da giocarsi per buttarlo in quel posto al
prossimo. Probabilmente ognuno di noi ha bene in mente moltissimi dei
trucchi da opportunista che questo libro consiglia a bizzeffe, ed è
forse solo la loro quantità e la loro concentrazione a renderli un po’
indigesti.
Però poi fa venire voglia di Rodari.
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