14 settembre 2009

e noi je dimo e noi je famo C'hai messo l'acqua e nun te pagamo.

Vedi cuoco, tu c’hai ragione a lanciare madonne contro gli Afterhours e la malafede e tutto il parlare di emergenti e ‘ste stronzate qua, c’hai ragione pure a pretendere in qualche modo (e facci pace, la pretesa è proprio incorporata nella tua protesta) che in Italia si faccia musica migliore.
Già per esempio tocca fare la superflua (ma manco tanto) distinzione tra la musica che in un posto si fa e la musica che in posto viene fatta circolare: in mezzo ci stanno i SOLDI e quindi ogni saggezza va a fare in culo, no? In TV te e io non ci andremo mai, perché non siamo belli, e alla radio nemmeno, perché non siamo accessibili. La nostra musica - o buona parte della musica che ci piace - ha bisogno di troppa attenzione e di un minimo di predisposizione culturale perché possa essere veicolata dai media generalisti moderni che di fatto sono mezzi di DISTRAZIONE. Le masse non c’hanno voglia di pensare, caro cuoco, e di noi – o della nostra collezione di 5000 dischi – non sanno che minchia farsene. Anzi, siamo noi quelli fuori posto quando non abbiamo voglia di suonare Falco a metà al falò o quando ci teniamo a precisare che Zucchero NON è un bluesman, Bo Diddley sì.
Io allora – anzi no: io e la mia spocchia, sono mesi che ci pensiamo. Da quando hai scritto questo pezzo e da quando m’è capitato di mettere le mani su dei pezzi di questi gruppetti rock italiani propostimi da gente. Io ho voluto SAPERE e CAPIRE a che punto stiamo, soprattutto perché ho una tesi, ma mo’ non facciamo casino come al solito.

L’altro pomeriggio mi sono messo di buzzo buono su Youtube e inghiottendo amaro mi sono fatto un po’ di giri per capire chi siano in realtà questi personaggi che popolano il sottobosco italiano, che spopolano al primo maggio, che riempiono i palinsesti di radio di cui non sospettavo nemmeno l’esistenza e che vanno su MTV di sera tardi quando la pubblicità costa meno.
Onestamente, non mi sono accollato di andare a scavare nelle zone punk o metal o elettronica, sia perché son discorsi a parte, sia perché il panorama è troppo vasto e onestamente non mi regge, sia – infine – perché il pop, proprio perché essendo tutto e niente può essere che cavolo je pare, è uno degli indici più evidenti dello stato di salute culturale di una nazione.
Mo’, non è solo per pregiudizio che se parliamo di pop italiano ci vengono in mente Michele Zarrillo e Gianna Nannini, e se parliamo di rock i Negrita: in effetti il pop italiano è sempre stato in mano a dei faciloni e il rock in mano a scimmiette - o nella peggiore delle ipotesi: a INTELLETTUALI. E qua ti volevo.
Se ci fai caso, praticamente tutto il pop e il rock italiano sfuggiti alle scimmiette o affrancatisi dal mos maiorum è stato fatto preda di rompicoglioni tronfi e tromboni (bella la rima e bella la metrica, dai) che li hanno accoppiati ai canti di lotta o al cantautorato poetico del peggior Dylan sfasciacazzi (quello che non rideva, mai) oppure che si sono buttati sull’ermetismo o sull’ermeneutica tout court (sì, mi sto riferendo a Franco “Trombone” Battiato). È stato così per i beat (il che fa ridere, visto che i Beatles erano VISIBILMENTE un gruppo che se la faceva prendere un sacco a bene), è stato così pure per i mods (nonostante le versioni originali fossero dei burloni attaccabrighe) e così è stato a maggior ragione per i fanatici del progressive rock, che almeno rimangono coerenti coi loro padrini che madonnasanta una cazzo di risata aoh: mai.
Un esempio? Ti ricordi uno di quei pallosi che leggevo qualche estate fa? Lui parlava di Springsteen e diceva che sfronda sfronda le tematiche di Springsteen (almeno del primo e del secondo) erano tre: la notte, la donna e la MACCHINA. E siamo d’accordo che in Italia non abbiamo mai avuto il retroterra culturale: ben difficilmente il New Jersey Turnpike è assimilabile alla Tangenziale Est; ben difficilmente le Harley Davidson alle Moto Guzzi e le giunoniche Buick alle Lancia Fulvia, caste e spigolose come vedove dell’Aspromonte.
Ciononostante manca ed è sempre mancata la STRADA, nel rock italiano, che invece è nato e cresciuto nei salotti di pischelli borghesi (gli stessi con cui si incazzò Pasolini, cuoco; gli stessi che fecero BUUH a Lama, cuoco: sempre loro), e solo ultimamente è stata elegizzata (si dice così) sotto forma di bretella autostradale da boh, Ligabue, che però non prendo in considerazione perché tutto sommato lui ha sempre voluto essere popolare, cuoco: su questo concorderai anche tu.
In Italia, al contrario, laddove non sono state politiche (e lo sono state in una lauta minoranza dei casi) le tematiche sono sempre state poetiche. La Canzone Italia o la Rock Song Italiana hanno sempre parlato o di stati d’animo ermetici, indiscutibili e dunque assiomatici (io sento la notte come palmi d’acciaio nel mio cuore di velluto con doppia sottiletta, e se non mi capisci t’attacchi al cazzo) oppure le care e vecchie CANZONI D’AMORE, gli spasimi adolescenziali gettati in pasto al grande pubblico, un enorme vocabolario di disagi di coppia, cotte improvvise, passioni travolgenti, quello che è. Insomma, Baglionismi colle chitarre elettriche, poca roba, poca roba.
Ma qual è la cosa che più ci fa cacare dei poeti, esimio dott. Zibibbo? La SPOCCHIA.
Figlia naturale dei percorsi di studio fatti, dell’aver capito Baudelaire (o Joyce o Sartre negli ultimi 20 anni) e dell’avere comunque un seguito seppure limitato al cortile di casa, il Rocker italiano se la sente calda da morire, e versa tutta la sua trance creativa (quasi sempre serissima, piena di afflato, contenuti e ipertesti letterati – o cinematografici, ma solo ultimamente) in qualcosa che boh: sarà magari proprio l’assenza dell’elemento stradale, sarà la giustificazione letteraria, o politica, ma finisce sempre con un risultato che come costante, preciso, agghiacciante: NO FUN. Dài, cuoco, fai mente locale. Quand’è l’ultima volta che hai sentito una canzone italiana DIVERTENTE? Divertente come Rosalita, divertente come This old heart of mine, divertente come Whole lotta Rosie? Che ne dici di “MAI”? Ci si avvicina?
Questi dinosauri hanno celebrato una liturgia, hanno contemplato degli idoli con la completa a-dialetticità del cattolicesimo (se sento un’altra volta parlare Red Ronnie di Hendrix mi do fuoco. Anzi no: do fuoco a lui), questi burocrati hanno scelto il rock come affrancamento dalle masse e ELEVAZIONE.
In più, noi niente blues. Noi, Giuseppe Verdi. Capirai…

’Sta marmaglia italiota che ho voluto ascoltare (in ordine sparso, Baustelle, Bugo, Moltheni, Amari, Ministri, Marta sui tubi, Le luci della centrale elettrica – non ti scatta il Mecojoni Automatico™ al solo leggere questi nomi?) ha restituito un quadro che persiste negli stessi schemi: la musica italiana è densa, è scritta più o meno bene come mille altre musiche, è profonda, è dotta, è un sacco di cose, ma oltre e prima di questo insieme, è una ROTTURA DI COGLIONI da primato.
Anzi, una bis-rottura, poiché chi apparentemente non vuole prendersi sul serio lo fa introducendo un’arguzia che rientra invece nell’aura di sintomatico mistero un po’ fumoso un po’ fragile un po’ maladive che l’Artista italiano desidera pazzamente come accessorio del proprio linguaggio: l’Artista italiano è un sofisticatissimo dandy che si vede da lontano che boh, c’avrà i cazzi sua perché è l’unica alternativa allo scorbuto che mi viene in mente come soluzione al fatto che non sorride, aoh, non sorride. Te lo giuro, cuoco, i video italiani sono pieni di gente con l’espressione intensa o sognante ma di quella sognantezza (se non si dice così sticazzi) che nemmeno possiamo perdonare perché si capisce che non stiamo pensando alla SORCA come – che ne so – chiunque si stia divertendo con una chitarra in mano.
E qui ci siamo nuovamente, perché il rock italiano (anzi il Rock Italiano) appare assolutamente asessuato, ha dei pruriti come quelli di un’educanda o di uno studente brufoloso che si caga sotto e preferisce di fatto Rimbaud alla birra. L’Artista Italiano sogna ma soffre perché pensa alla Tua Pelle, alle Tue Mani e ai Tuoi Occhi ma mai al Tuo Culo o (altro) e questo perché l’Artista Italiano vuole essere ACCESSIBILE.
Che voglio dire: in un posto dove esiste il concetto di “emergente” – e dove devi letteralmente SPIEGARE a gente esterrefatta che ESISTE un panorama musicale fatto di concerti e non di videoclip – è plausibile l’ambizione di arrivare al maggior pubblico possibile, e se parli di scopare (anche se lo faceva Big Mama 50 anni fa, ma dubito che questi innocenti efebi sappiano chi sia) non ti passano per radio o tantomeno in TV. Ma non è un problema, per l’Artista Italiano: lui vuole piacere anche a tua madre, cuoco (e anche alla mia), lui non vuole essere controverso, e dunque gli sta bene parlare di cose sane che non portano i giovani sulla cattiva strada come quei capelloni con i jeans tutti strappati.
O peggio: forse la fisicità e l’animalità del rock’n’roll sono uno dei cliché che l’Artista Italiano vuole rompere, anche se a quanto pare non se l’è mai filato, sto cliché: non negli anni 50 dei mutandoni, non nei 60 delle canzoni dell’estate, non negli anni 70 dei canti di lotta, non negli anni 80 in fissa con i robot, e così via.
Insomma: se rock era quello che parlava delle scarpe scamosciate blu e della cadillac nuova di zecca e rock è Stringimi senza farmi male mi sa che non stiamo parlando della stessa cosa. C’è una componente di esibizionismo e di spavalderia che nel rock’n’roll italiano è sempre mancato, forse proprio a causa della FOGA dei rocker italiani ad essere considerati tali. Qui la gente che prende una chitarra in mano vuole essere guardata con RISPETTO, altro che il DISPETTO che accompagnava i reietti e sciamannati con le mutande in fiamme oltreoceano.
E quindi grazie al cazzo che il Rock Italiano oltre ad essere sciapo e pseudo-adolescenziale (Morgan è in età da pensione) SUONA, anche, male, con la batteria compita e la voce avantissimo e la chitarra indietrissimo che non si capisce che dischi abbia preso questa gente a parametro di riferimento e niente fragore e niente casino e niente mortacci e (aridaje) ’ste cazzo di chitarre acustiche ovunque ma accolte come aureole dai giornalisti (altra bella gente) che parlano di maturazione artistica ogni qualvolta qualcuno abbassa il volume e si proietta in una dimensione intimista, come se abbandonare il rock’n’roll fosse una cosa da adulti (chiedete a Bob Dylan cosa ne pensa) benché repressi e sfigati – in senso STRETTO.

Allora la domanda delle domande, mio compagno di lotte e di viaggi, è: ma noi ne abbiamo BISOGNO? Noi abbiamo necessità che il rock italiano video/radiofonico, il rock che occupa le copertine di XL o che mandano di sera tardi su MTV o su Radio Rock Italia, recuperi la sua dimensione compagnona, festaiola, scopereccia, belushiana? Non sarebbe al contrario uno snaturamento della sua indole, tenuto conto del suo percorso e della sua storia?
Ma ancora, noi che abbiamo l’underground (quello che emergere non può ma dopotutto manco VUOLE), noi che siamo liberi dai vincoli del mercato, dai discografici pallemosce che puntano sulle casalinghe presenti o future, noi che il volume lo consideriamo a intere decine e sappiamo che Miserlou non è solo “la colonna sonora di palpficscion”, perché dobbiamo andare a rompere il cazzo ai Baustelle? Non ha forse ancora una volta ragione Robertò? Non possiamo semplicemente spegnere la radio o la TV e ascoltare uno dei nostri 5000 dischi e rispondere No quando ti chiedono Sai suonare la chitarra a un falò?
L’Italia che si legge sui giornali, quella che si ascolta per radio o legge in televisione, l’Italia lontana dai locali affumicati o di chi la musica la VIVE (e non la FA e basta come un mestiere), non è mai stata un paese rock’n’roll, mi hanno fatto notare con candore: nemmeno all’inizio, quando sui 45 giri c’era scritto che Pregherò era di Celentano-Gianco. Ma del resto, non è affatto l’unica occasione in cui l’Italia ufficiale e rassicurante non assomiglia per niente a quella che poi ti ritrovi in giro per strada.
Quindi sticazzi, cuo’, lasciamoli fare i rocker ma non troppo, a ’sti chiacchieroni, con le loro chitarre distorte ma non troppo, i loro capelli lunghi ma non troppo, con i loro testi impegnati o ribelli o bohemien ma non troppo, e con il loro pubblico fedele ma non troppo.
Noi abbiamo altro e questo altro è meglio e lo sappiamo: e allora, come facciamo con 5000 dischi dentro casa a prendercela ancora con la TV?

6 commenti:

Andrea Ferrigno ha detto...

merda, che disfattismo, ma quanti anni hai? Però hai ragione. Oltretutto il tuo discorso si può applicare pari pari alla poesia e non è un caso.

Be', però mi viene in mente un gruppettino italiano con una certa attitudine a dire cose tipo mi piace il tuo culo nelle canzoni rock. I BSOD. Ehm. Meglio che niente.

Jim Troeltsch ha detto...

caro renzo: io di poesia non so niente e dunque non saprei cosa dire.
in quanto al disfattismo, non mi va che si pensi che stia applicando una sorta di censura sulla musica italiana. ognuno è libero di ascoltare ciò che vuole: il mio post serviva solo ad approfondire i motivi per i quali io preferisco altro. non sono uno di quei metallari che sostengono che la musica di merda andrebbe cestinata. io so solo che non finisce sugli scaffali di casa mia, e tanto mi basta.

non sono male, questi bsod - sempre se ti riferisci ai the bastard sons of dioniso - anche se appaiono ancora un po' troppo debitori alle loro influenze per capire dove andranno a parare con le loro gambe. però sì, almeno sono un po' più disinvolti e meno tronfi nei contenuti, anche se l'aspetto più comico abbassa un po' il peso specifico della proposta musicale che non è malaccio.

in quanto alla mia età, ho 30 anni. che dici: sono pochini, per essere già così rompicoglioni, ve'?

Oi!
cane.
(ps: carino il tuo blog)

Andrea Ferrigno ha detto...

No, be', mi sa che è giusto a trenta che si comincia, o perlomeno ho cominciato anch'io ;)

Bsod, ja, almeno non si danno arie da guru e non fanno quelli che «ma quanto siamo emo». Caciaroni, hanno fatto cover dei tenacious d e vorrà pur dire qualcosa.

Anonimo ha detto...

Cane, quando passi a prenderti un caffè che approfondiamo il discorso?
Nanni

Iguana Jo ha detto...

Capito qua via anobii, e sono piacevolmente sorpreso da quanto leggo. Complimenti davvero, sia per la leggibilità che per i contenuti.

Non seguo abbastanza la scena musicale (non ho più l'età, cazzo) ma mi sa che c'hai ragione.
Del resto lo stesso approccio è identificabile anche in letteratura, mi pare. Soprattutto per quella di genere.

BTW anche a me i Bastards son simpatici.
Ma non so se mi piacciono.

reallynothing ha detto...

grosso, cane.