Il disco degli Jesu è una bomba. Conqueror. Uscito per Hydra Head alla fine del 2006; me lo sono procurato e l’ho sentito subito, cosa che faccio di rado: mi procuro i dischi e me li sento quando c’ho tempo, anche perché spesso e volentieri so già dall’inizio che sono delle sòle clamorose.
Il primo che mi aveva parlato degli Jesu era stato Bedanì (non ho mai capito come si scrive, ma tanto è un ragazzetto con il senso dell’umorismo), che però sta un po’ troppo in fissa con gente come Pelican, Isis, Between The Buried And Me e compagnia bella, e dunque quando aveva fatto saltare fuori questo nome mi ha fatto pensare Beh, dev’essere anche questo un gruppo di gente che non è in grado di farsi una C.D.S. (“Cazzo De Risata”, parametro indispensabile per il mio gradimento di una band, l’ho stabilito di recente).
Tuttavia – dato che sono magnanimo e do una chance a TUTTI i gruppi che mi vengono nominati (TUTTI, perfino i Juno, vero E.?) – mi sono messo tranquillo e li ho reperiti tutti.
Il come li ho reperiti non ve lo dirò. Diremo che NON sono andato in un negozio di dischi, ma sono stato comodamente seduto a casa mia e dopo un breve tot di tempo i dischi si sono materializzati (non mi prendete alla lettera) nel mio computer, pronti per essere ascoltati. Diremo anche che se c’è un vantaggio della modernità è proprio questa opportunità di consumo critico che offre, la possibilità di operare una selezione preventiva del materiale per cui vale la pena spendere dei soldi (soprattutto in un posto in cui i cd costano 23 euro, e TUTTI i cd costano 23 euro, anche quelli degli artisti morti da vent’anni, anche quelli che escono per certe etichette indipendenti, forse per non farli sentire da meno, che ne so: è bello vivere in un paese in cui la gente non si fa domande sul PERCHE’ una cosa costa quanto costa, e quando ogni tanto qualcuno lo chiede, si accontenta della prima risposta che arriva dalla televisione, ma stiamo divagando come al solito). Insomma, mai più sòle, grazie a internet. Ecco.
Il primo Jesu (che si chiama come il gruppo) mi era piaciuto, ma effettivamente aveva delle caratteristiche un po’ amare che non gli hanno permesso di passare la prova del tempo. Tuttavia la matrice musicale era affascinante. Dilatazione, tempi lentissimi, oceani di chitarre (OCEANI, gente, sono dappertutto): e in cima, una voce pulitissima, sepolta dagli strumenti, ulteriormente astratta dal delay, e spesso aiutata da un synth minimalissimo e insistente come un antifurto (ma raramente così fastidioso).
Però sapete com’è: è un primo disco. E poi Justin Broadrick è uno che ne ha fatte troppe di mattate, negli anni 90, per poterne uscire di slancio.
Già perché lui è uno dei tanti geni che sono usciti dai Napalm Death – a volte mi chiedo che cazzo gli dessero da mangiare alla gente, a Birmingham, se poi sono tutti diventati dei pazzi a quel modo. Mick Harris con gli Scorn e per i fatti suoi, Shane Embury in una delle ennesime incarnazioni dei Brujeria, Bill Steer con i Carcass (che faranno anche ride ma sono fantastici) e Lee Dorrian con i Cathedral (a-hum, fate finta di niente). In tutto questo i Napalm sono ancora i Napalm, gente, mica sono diventati i Pooh (che credo di aver sognato stanotte, e credo anche di sapere il perché – così come sa il perché della gente che mi ha chiesto di scrivere di musica italiana)
Justin Broadrick invece, dopo i Napalm Death ha messo in piedi i Godflesh – un gruppo capitale per il metal parente dell’industrial music – poi i Techno Animal, e infine ’sti Jesu, che (ricapitoliamo) dopo un primo disco un po’ amaro (e un EP di esplorazione), hanno tirato fuori Conqueror, che è una bomba.
Il motivo per cui Conqueror è una bomba è che è un disco pop. Nel vero senso della parola. Se togliamo le chitarrone, e in definitiva l’ispirazione metal, rimangono due cose: una batteria trip-hop suonata con le 2B al contrario, e una voce che disegna delle melodie impeccabili, e soprattutto orecchiabili e memorabili. È strano, lo so: l’ultimo disco metal orecchiabile di una certa dignità che mi viene in mente è probabilmente The Number Of The Beast, l’associazione metal/melodia ha creato dei mostri a tre teste per tutti gli anni 80 e 90, e non ha ancora smesso, diventando quel fenomeno borderline che è oggi, perché diciamocelo, se qualcuno ascolta VERAMENTE i Nightwish – veramente nel senso di: non per riderci su – potrebbe avere dei seri problemi di personalità.
E questo perché la melodia è una cosa piuttosto delicata. Bisogna saper costruire bene delle cose che stiano in piedi da sole anche se le fai girare come trottole. Architetture semplici ma non banali, leggerezza ma non frivolezza (a meno che non lo volete). Insomma, è un po’ come il pane: voi guardate il pane e pensate Ah beh, certo, il pane, che ci vuole a fare il pane, eppure è una cosa difficile. La melodia, uguale.
E Justin Broadrick questa cosa deve averla pensata per bene, perché la melodia che contraddistingue Conqueror (tipo la title track, o l’ultima: Stanlow) è una melodia sapiente, curata e pensata con attenzione. Non gli alti lai del post metal che vuol prendere la melodia da qualche parte e guarda all’emo (gravissimo errore), non la pseudo-melodia dell’hard rock pentatonico IanGilliano (quanta gente ha rovinato: perché Milosevic sì e lui no?). Una melodia nuova e fresca, efficace e catchy che poi alla fine è quello che predomina un disco che di suo è invece già fortemente caratterizzato da uno stile estremamente singolare.
E del resto è proprio questo il pop (o almeno il pop OGGI): il non aver paura di fare una cosa semplice, una cosa che può essere percepita anche a un primo livello di lettura, anche da parte di un ascoltatore non introdotto al genere, o al sottogenere, o alla sottoparrocchia, per la miseria.
Al contrario, c’è un panico abbastanza diffuso, nel panorama della musica non mainstream, ad avvicinarsi a territori già battuti, a usare il cliché a proprio vantaggio. Il che è comprensibile sotto diversi punti di vista. Un po’ perché a usare il luogo comune in maniera inventiva ci vogliono le palle – e non tutti i test danno risultati positivi – un po’ perché ad aprirsi a una possibilità “popolare” molti gruppi perderebbero l’alone di santità che l’essere di nicchia ha come accessorio, un perché – e questa è conseguenza – quando una band esce “allo scoperto” (anche se è una cosa genuina e non un meretricio come spesso accade) si ritrovano automaticamente una legione di dita puntate contro: i fan che accusano di essere stati traditi, la critica che accusa di essersi venduti (e sappiamo che non esiste niente di peggio di certi critici alternativi, che osannano un gruppo solo finché non lo conosce nessuno, in modo da potersi sentire i più fighi del bigonzo).
Ma dato che Justin Broadrick non è esattamente l’ultimo arrivato, c’è da supporre che abbia preventivato lo stacco che una scelta del genere possa causare, nei confronti delle altre band della “scena” post-metal (o alt-metal o come diavolo lo volete chiamare).
La cosa che sarebbe da chiedersi adesso è Cosa succederà? In che modo questa nuova sensibilità pop potrà informare una nuova ondata di produzione in questo ambiente musicale, che sappiamo essere ESTREMAMENTE sensibile – per non dire ruffiana – nei confronti dei messaggi dei maestri?
Di fatto Conqueror ha tutta l’aria di essere un disco se non seminale, almeno abbastana importante nel suo giro, e toccherà tenere d’occhio etichette come Relapse, Ipecac o la stessa Hydra Head che pubblica il trio di Broadrick per avvistare eventuali altre gemmazioni. Che speriamo non siano le solite scopiazzature del ringleader, perché francamente ne avremmo anche un po’ abbastanza.
Abbiamo capito, abbiamo capito: se fai musica simile poi ti mettono nello stesso bill, ma perdio, un po’ di dignità...
PLAYLIST>
the beatles: the fool on the hill
kaki king: second brain
muddy waters: just to be with you
sam cooke: another saturday night
pig destroyer: thumbsucker
the jam: happy together
billie holiday: i cried for you
nick drake: which will
sick of it all: no cure
gomez: how we operate
tom waits: kommienezuspadt
slayer: piece by piece
Il primo che mi aveva parlato degli Jesu era stato Bedanì (non ho mai capito come si scrive, ma tanto è un ragazzetto con il senso dell’umorismo), che però sta un po’ troppo in fissa con gente come Pelican, Isis, Between The Buried And Me e compagnia bella, e dunque quando aveva fatto saltare fuori questo nome mi ha fatto pensare Beh, dev’essere anche questo un gruppo di gente che non è in grado di farsi una C.D.S. (“Cazzo De Risata”, parametro indispensabile per il mio gradimento di una band, l’ho stabilito di recente).
Tuttavia – dato che sono magnanimo e do una chance a TUTTI i gruppi che mi vengono nominati (TUTTI, perfino i Juno, vero E.?) – mi sono messo tranquillo e li ho reperiti tutti.
Il come li ho reperiti non ve lo dirò. Diremo che NON sono andato in un negozio di dischi, ma sono stato comodamente seduto a casa mia e dopo un breve tot di tempo i dischi si sono materializzati (non mi prendete alla lettera) nel mio computer, pronti per essere ascoltati. Diremo anche che se c’è un vantaggio della modernità è proprio questa opportunità di consumo critico che offre, la possibilità di operare una selezione preventiva del materiale per cui vale la pena spendere dei soldi (soprattutto in un posto in cui i cd costano 23 euro, e TUTTI i cd costano 23 euro, anche quelli degli artisti morti da vent’anni, anche quelli che escono per certe etichette indipendenti, forse per non farli sentire da meno, che ne so: è bello vivere in un paese in cui la gente non si fa domande sul PERCHE’ una cosa costa quanto costa, e quando ogni tanto qualcuno lo chiede, si accontenta della prima risposta che arriva dalla televisione, ma stiamo divagando come al solito). Insomma, mai più sòle, grazie a internet. Ecco.
Il primo Jesu (che si chiama come il gruppo) mi era piaciuto, ma effettivamente aveva delle caratteristiche un po’ amare che non gli hanno permesso di passare la prova del tempo. Tuttavia la matrice musicale era affascinante. Dilatazione, tempi lentissimi, oceani di chitarre (OCEANI, gente, sono dappertutto): e in cima, una voce pulitissima, sepolta dagli strumenti, ulteriormente astratta dal delay, e spesso aiutata da un synth minimalissimo e insistente come un antifurto (ma raramente così fastidioso).
Però sapete com’è: è un primo disco. E poi Justin Broadrick è uno che ne ha fatte troppe di mattate, negli anni 90, per poterne uscire di slancio.
Già perché lui è uno dei tanti geni che sono usciti dai Napalm Death – a volte mi chiedo che cazzo gli dessero da mangiare alla gente, a Birmingham, se poi sono tutti diventati dei pazzi a quel modo. Mick Harris con gli Scorn e per i fatti suoi, Shane Embury in una delle ennesime incarnazioni dei Brujeria, Bill Steer con i Carcass (che faranno anche ride ma sono fantastici) e Lee Dorrian con i Cathedral (a-hum, fate finta di niente). In tutto questo i Napalm sono ancora i Napalm, gente, mica sono diventati i Pooh (che credo di aver sognato stanotte, e credo anche di sapere il perché – così come sa il perché della gente che mi ha chiesto di scrivere di musica italiana)
Justin Broadrick invece, dopo i Napalm Death ha messo in piedi i Godflesh – un gruppo capitale per il metal parente dell’industrial music – poi i Techno Animal, e infine ’sti Jesu, che (ricapitoliamo) dopo un primo disco un po’ amaro (e un EP di esplorazione), hanno tirato fuori Conqueror, che è una bomba.
Il motivo per cui Conqueror è una bomba è che è un disco pop. Nel vero senso della parola. Se togliamo le chitarrone, e in definitiva l’ispirazione metal, rimangono due cose: una batteria trip-hop suonata con le 2B al contrario, e una voce che disegna delle melodie impeccabili, e soprattutto orecchiabili e memorabili. È strano, lo so: l’ultimo disco metal orecchiabile di una certa dignità che mi viene in mente è probabilmente The Number Of The Beast, l’associazione metal/melodia ha creato dei mostri a tre teste per tutti gli anni 80 e 90, e non ha ancora smesso, diventando quel fenomeno borderline che è oggi, perché diciamocelo, se qualcuno ascolta VERAMENTE i Nightwish – veramente nel senso di: non per riderci su – potrebbe avere dei seri problemi di personalità.
E questo perché la melodia è una cosa piuttosto delicata. Bisogna saper costruire bene delle cose che stiano in piedi da sole anche se le fai girare come trottole. Architetture semplici ma non banali, leggerezza ma non frivolezza (a meno che non lo volete). Insomma, è un po’ come il pane: voi guardate il pane e pensate Ah beh, certo, il pane, che ci vuole a fare il pane, eppure è una cosa difficile. La melodia, uguale.
E Justin Broadrick questa cosa deve averla pensata per bene, perché la melodia che contraddistingue Conqueror (tipo la title track, o l’ultima: Stanlow) è una melodia sapiente, curata e pensata con attenzione. Non gli alti lai del post metal che vuol prendere la melodia da qualche parte e guarda all’emo (gravissimo errore), non la pseudo-melodia dell’hard rock pentatonico IanGilliano (quanta gente ha rovinato: perché Milosevic sì e lui no?). Una melodia nuova e fresca, efficace e catchy che poi alla fine è quello che predomina un disco che di suo è invece già fortemente caratterizzato da uno stile estremamente singolare.
E del resto è proprio questo il pop (o almeno il pop OGGI): il non aver paura di fare una cosa semplice, una cosa che può essere percepita anche a un primo livello di lettura, anche da parte di un ascoltatore non introdotto al genere, o al sottogenere, o alla sottoparrocchia, per la miseria.
Al contrario, c’è un panico abbastanza diffuso, nel panorama della musica non mainstream, ad avvicinarsi a territori già battuti, a usare il cliché a proprio vantaggio. Il che è comprensibile sotto diversi punti di vista. Un po’ perché a usare il luogo comune in maniera inventiva ci vogliono le palle – e non tutti i test danno risultati positivi – un po’ perché ad aprirsi a una possibilità “popolare” molti gruppi perderebbero l’alone di santità che l’essere di nicchia ha come accessorio, un perché – e questa è conseguenza – quando una band esce “allo scoperto” (anche se è una cosa genuina e non un meretricio come spesso accade) si ritrovano automaticamente una legione di dita puntate contro: i fan che accusano di essere stati traditi, la critica che accusa di essersi venduti (e sappiamo che non esiste niente di peggio di certi critici alternativi, che osannano un gruppo solo finché non lo conosce nessuno, in modo da potersi sentire i più fighi del bigonzo).
Ma dato che Justin Broadrick non è esattamente l’ultimo arrivato, c’è da supporre che abbia preventivato lo stacco che una scelta del genere possa causare, nei confronti delle altre band della “scena” post-metal (o alt-metal o come diavolo lo volete chiamare).
La cosa che sarebbe da chiedersi adesso è Cosa succederà? In che modo questa nuova sensibilità pop potrà informare una nuova ondata di produzione in questo ambiente musicale, che sappiamo essere ESTREMAMENTE sensibile – per non dire ruffiana – nei confronti dei messaggi dei maestri?
Di fatto Conqueror ha tutta l’aria di essere un disco se non seminale, almeno abbastana importante nel suo giro, e toccherà tenere d’occhio etichette come Relapse, Ipecac o la stessa Hydra Head che pubblica il trio di Broadrick per avvistare eventuali altre gemmazioni. Che speriamo non siano le solite scopiazzature del ringleader, perché francamente ne avremmo anche un po’ abbastanza.
Abbiamo capito, abbiamo capito: se fai musica simile poi ti mettono nello stesso bill, ma perdio, un po’ di dignità...
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the beatles: the fool on the hill
kaki king: second brain
muddy waters: just to be with you
sam cooke: another saturday night
pig destroyer: thumbsucker
the jam: happy together
billie holiday: i cried for you
nick drake: which will
sick of it all: no cure
gomez: how we operate
tom waits: kommienezuspadt
slayer: piece by piece
1 commento:
io non ci vedo niente di ridicolo nè nei Juno nè nei Carcass.
non capisco perchè tu me li abbia tirati in mezzo a mo ti sfottò.
sono profondamente offesa.
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