22 marzo 2007

storie di ordinaria resistenza

Uno dei motivi per cui ho salutato con giubilo la proposta di (cane) di mettere in piedi un blog non è stata l'opportunità di esprimere finalmente il mio autorevole punto di vista su cose di musica - neanche fossi Lester Bangs o, che ne so, Peter Guralnick – e nemmeno il sadico piacere di poter fare il “Lancio della cacca” sulla stampa, il mercato ed il mondo musicali de’ noantri. Semplicemente potevo dire ciò che mi aggradava sanza patemi d’animo o impedimenta. Ora, mi sembra chiaro che la mia opinione sia da considerarsi attendibile non più di un chiasso delle viscere nel meriggio digestivo d’un giorno festivo, tuttavia non mi si può attribuire alcuna connivenza con etichette discografiche, distributori, tipografie e i vari “Affini” che abitano il circo della stampa musicale – ergo, almeno la buona fede, spero mi venga riconosciuta.
Tutto questo per introdurre la band a cui sono più affezionato, almeno per quanto riguarda il luttuoso panorama del mainstream italico: i Gang.
Scrivere sui Gang è, al giorno d'oggi, più o meno come militare in una formazione della sinistra parlamentare negli anni '70, solo che, invece di trovarti in un fascicolo della DIGOS (e forse i Gang ci stanno, in un fascicolo della DIGOS, chissapoiperché...) ti ritrovi ad immaginare le barbe del popolino “Intellighente” della musica farsi via via più lunghe e, con un po’ di sforzo, riesci persino a divinare il loro commentario da cinici, smaliziati conoscitori dell’Argomento (con la “A” maiuscola). Ah, a proposito, loro, praticamente, fanno la parte della DIGOS all'epoca.
Premetto che non ho rapporti col cantautorato politico italiano degli anni ‘60- ‘70; ho sempre trovato tutti immancabilmente noiosi e irritanti, circonfusi com’erano di quell’alone di santità che gli derivava dall’essere dalla “Parte Giusta” nel momento storico giusto. Mi ha sempre infastidito. Non intendo irridere al significato che i vari Lolli, Guccini, Bertoli o altri autori impropriamente definiti “Minori” (come i francescani, guarda un po’) hanno avuto per quella generazione ma, semplicemente, la mia generazione era diversa.
Eh sì, cari miei, perché se nel ’77 avevi tre anni, nel mondo che sarebbe seguito, saresti stato solo uno tra quelli che si erano “Persi tutto”. Perso Hendrix al Brancaccio, persi senza appello i Beatles all'Adriano, perso il ’68, la contestazione, il libero amore, perso il Boom economico, perse le sezioni di partito, persa la militanza, perso lo scontro generazionale. Parliamoci chiaro, avevano bisogno di una generazione da scoglionare con tele-mondezza, Tangentopoli, Sanremo, il PDS, le illuminate riforme del mondo del lavoro che tutti ci angustiano e i sintetizzatori.
Un altro motivo di alterità da quella generazione che aveva invece “Fatto tutto” (o che, almeno, ci aveva provato) era che questi qua erano più bacchettoni dei tuoi genitori: cercavano di inculcarti la politicizzazione, la solidarietà, il movimentismo ad ogni costo e poi si comportavano come i peggiori individualisti sull’orbe terracqueo, ci provavano – tra un Bob Dylan e una canna – con la tua pischella e (Horribile dictu) alle volte gli andava pure bene.
Per noi c’era poco. A volte mi spaventa il pensiero che da nonno (se mai riuscirò ad esserlo) parlerò allo sventurato nipotino di quanto noi adolescenti degli ’80, giovani dei ’90, sottoccupati del nuovo millennio, non avessimo quasi nulla, esattamente come raccontavano i miei nonni che avevano fatto la guerra, anzi LE guerre.
Ma torniamo a bomba con una semplice esternazione estetica: il cantautorato nostrano della meglio gioventù era palloso, suonava a basso volume canzoni tristi, andava benissimo per trovare la fidanzata ma non per fare festa, non per fare a botte col famigerato SISTEMA. Infatti, ’sta meglio gioventù, dopo tutto ’sto casino dove ce la siamo ritrovata se non in televisione, se non doppiopettatissima a sputare veleno sui ragazzini e le ragazzine, le donne e gli uomini, i preti e le monache che se ne erano andati a fare una passeggiata chiassosa in quel di Genova nell’estate del 2001?
I Gang sono un'altra cosa, sono roba nostra.
Da 20 anni provano ad alzare il volume quel tanto che serve a fare del Folk il Rock’n’Roll e dopo averli visti circa 20 volte in concerto, posso dirlo: È FESTA!!! E vanno bene per fare a botte col famigerato SISTEMA. Finalmente l’avevamo capita: per cambiare le cose, data la controparte storica che ci ritrovavamo, poteva servire saper alzare la voce, anche se è solo una “Magnum Les Paul”, una chitarra elettrica.
I Gang portano giacche di pelle, capiscono di musica, amano i Creedence e Bruce Springsteen, i Social Distortion e i Pearl Jam e hanno trovato il significato della vita disseppellendo Guns of Brixton dal suo feretro di Reggae. Dirò di più, concettualmente sono i miei candidati ideali alle elezioni politiche: onesti, coerenti e clashisti – ché mi sono stufato di avere fan di Mina, Battisti, Beatlesiani della terza ora, amanti del jazz e della Vanoni che mi governano o, peggio ancora, melomani poco competenti ma sempre in prima fila alla Scala, o beghini in fissa solo con il canto gregoriano, la famiglia e la preghiera della compieta... DOVE SONO I NOSTRI?!?
Dove stanno i fan dei Clash, dei Dead Kennedys, dei Talking Heads, dei Police? Dovrebbero essere eleggibili, oramai; dovremmo averli già eletti, oramai.

In questo periodo i Gang stanno vivendo l’esilio e la resistenza. Sono ostracizzati dalla stampa sempre pronta a sbrodolare su avanguardie scorreggione e Poppetto da classifica; circondati dal cinismo della critica contemporanea, che li accusa di vetustà contenutistica; penalizzati, nonostante il curriculum, dalla mancanza di coraggio del sedicente mercato indipendente che alla fine, gira gira, mira solo al grano e loro “Non vendono abbastanza” (più o meno come lottanta per cento dei gruppi validi dalle nostre parti).
Recuperano le radici popolari della nostra musica come fossero Johnny Cash e non la Nuova Compagnia di Canto Popolare, ma non vendono abbastanza.
Incidono di dischi di rockarolla americana come quella che fa avere successo a Ligabue e gli permette di investire in immobili, e non vendono abbastanza.
Ricevono il rispetto e la stima di Billy Bragg che è incensato da mezzo mondo, ma non vendono abbastanza.
Sparano canzoni da tre minuti tutte speranza ed energia come facevano i Clash o come fa il Boss, ma non vendono abbastanza.
Perché non proviamo a venderli e a promuoverli prima di stabilire se non vendono abbastanza, mie care etichette indipendenti?

All’inizio degli anni ’90 i Gang riempivano i posti e facevano ballare la gente, e non solo alle feste dell’Unità, perché erano e sono, innanzitutto, una rock’n’roll band: dunque, divertenti. Adesso la loro appartenenza politica viene derisa come se fossero vetero-stalinisti invece che critici lucidissimi del presente e fa strano davvero. Davvero, non capisco. Se questo paese è ancora lungi dall’affrancarsi dal ricordo della guerra, dei tedeschi e dei fascisti, se si tratta un argomento come le BR con la stessa leggerezza storica che hanno i giornalisti quando parlano dei Talebani che almeno sono un problema contemporaneo e dunque non storicizzabile con facilità, DI COSA DOVREBBERO PARLARE I GANG?
Parlano di resistenza perché la resistenza, quella umana, quella che ti permette di campare sorridendo in mezzo a questo merdaio SERVE! Se poi usano la resistenza, intesa come momento epocale della storia di un popolo - cioè come metafora, per parlare al presente del presente - cosa, domando umilmente, c'è di “Vetero-qualcosismo” in questo?
Per non parlare del fatto che... MA L’AVETE VISTI VOI I GANG? Non hanno un tour manager che gli procura cocaina e mignotte; non alloggiano in alberghi di lusso; non hanno un’etichetta che lavora per loro e li spinge. QUESTI FANNO TUTTO DA SOLI. Girano su una Opel giardinetta, mi pare, che stipano di strumenti e spesso alla fine del concerto, ovunque siano, se non hanno trovato da dormire tornano a casa. Sono il gruppo più indipendente che conosca, fanno la stessa vita dei gruppi ardecore ma con molta meno gloria, qualche anno e qualche figlio in più e con l’amicizia di Billy Bragg alle spalle. Cosa deve fare un gruppo in questo paese per essere considerato? Mettersi l’ombretto? Mostrare il ventre piatto? Cantare di nulla ma con un sacco di lustrini?

Da diversi anni Marino Severini, il cantante dei Gang, dice che un giorno vorrebbe tornare a lavorare la terra e scrivere solo canzoni su come si coltivano i peperoni, e non cantare brani fatti rabbia e di critica verso un paese che non sa vedere se stesso.
Di buono, io, posso dire a Marino che le sue canzoni vanno bene per gli Ultimi, schiera nutritissima alla quale, per ragioni generazionali, sono onorato di appartenere, ed insieme alla quale resisto, sorridendo, ammaestrato dal loro esempio.
Vi stanno tanto sulle palle? Volete liberarvi di loro? Allora pregate che questo paese migliori, e mettetevici d'impegno pure voi, altrimenti i Gang continueranno a dirvi di resistere, a dirvi che NO, non va tutto bene e che non vivete nel migliore dei mondi possibili.
Non saranno sempre facili da ascoltare e sono impossibili da fagocitare e imbavagliare, sono solo il vostro avversario più tosto, dunque dategli un po’ più di rispetto, PERDIO!!!

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