l tristo riferimento è stato già fatto, tuttavia, dato il mio passato, un certo presente e, perché no, futuro non posso, non voglio, non devo emendarmi dal lasciare che la morte di Danny Federici, in arte “Phantom”, resti uno spaccio d’agenzia e una lacrima sul viso degli springsteeniani. Danny Federici è morto, morto male, morto malato e se qualcuno di voi non sapesse chi egli sia vi basti, per ora, sapere che negli ultimi 36 anni ha suonato l’organo hammond e la fisarmonica nella E Street Band, la band del Boss. Ne è stato membro fondatore, insieme con Bruce, Clarence Clemons e Garry W. Tallent; ne è stato ideatore nel tempo, causa una frequentazione che inizia col Boss nei corridoi di una scuola prima ancora che in una sala prove. E così oggi 19 aprile 2008, dopo 58 anni, di cui almeno 36 passati a suonare, Phantom Danny Federici ci lascia il doloroso compito di iniziare un percorso della memoria senza di lui: siamo al primo giorno di scuola.
Oggi, ci tocca cominciare a fare i conti con la caduta del mito dell’eterna giovinezza che la E Street Band ha incarnato. Vederli suonare a più di cinquant’anni con la passione e lo stesso divertimento dei loro anni verdi era una delle più belle esperienze che un rockettaro potesse vivere. La E Street Band era un banditore di speranza da stadio e chi l’ha vista almeno una volta lo sa. Danny Federici, a giudicare dal suo aspetto e dal suo ruolo nella band, deve sempre esser rifuggito dal virus della rockstar. Se si è scopato qualche modella californiana, buon per lui ma a me non ne è mai arrivata notizia; se ha comprato un ranch e allevato bufali, beh, da paura, ma io non lo ho mai saputo; se si è fatto le pere o le canne o le strisce nel backstage io non me ne sono accorto. Danny Federici portava un’acconciatura da impiegato alle poste di Freehold (NJ), indossava camicie a quadri infilate dentro i calzoni (dentro, non fuori) o completi scuri con t-shirt: era un sobrio intrattenitore, questo era per molti devoti del culto springsteeniano. A differenza dei suoi compagni di gang era meno appariscente e caratteristico e forse per questo, anche meno amato. Non ha mai creato un culto intorno alla sua persona pur appartenendo ad una delle più famose band di rock’n’roll di tutti i tempi. Meno coreografico di Clarence Clemons, meno istrionico di Miami Steve, meno sornione di Roy Bittan e meno fomentato di Mighty Max, non si è buttato subito a fare il produttore e lo scopritore di talenti quando il boss, all’inizio dei ‘90, lo mise in cassa integrazione insieme col resto della E Street; non ha partecipato a sessioni di lusso, né se n'è uscito con malinconiche carriere soliste prive del nerbo necessario a diventare tali, giusto un paio di dischi più per voglia de tajasse che altro. Forse della E Street Band era il membro che più di tutti aveva serenamente compreso ed accettato il proprio ruolo: un impiegato dell’organo hammond alle dipendenze del Boss, un dipendente. Forse alla fine del secolo scorso è stato quello che più di altri ha fatto presente al suo amico, ex-capo, ex-datore di lavoro che i suoi ex-dipendenti sarebbero finiti sul lastrico se non si fossero rimessi insieme; forse è stato il più sincero con Springsteen e, da vecchio amico/compagno di scuola/membro dei Child (poi conosciuti come Steel Mill), di Dr. Zoom & the sonic boom (la band di Springsteen che teneva sul palco, contemporaneamente al concerto, una partita di Monopoli a cui partecipavano elementi del pubblico presente) e poi della E Street Band, avrà fatto notare al Boss che la sua musica ci aveva guadagnato un proverbiale cazzo dalla svolta iper-solista che aveva intrapreso. Forse, forse, forse..
La carriera, e in un certo senso la vita, di Phantom Dan è talmente irrelata a quella del suo illustre principale da sembrarne un’emanazione, e così parlare di lui sarebbe l’ennesima occasione per parlare di Bruce Springsteen. Beh, oggi non ho proprio voglia di fare questo, così, per gioco, preferisco provare ad immaginarmelo, Danny Federici.
Un uomo sobrio, defilato, una figura solida e piazzata nel mezzo di un circo di cui ne era colonna portante. Beveva alcolici ? Forse, e allora? Andava a puttane? E perché no? Talmente silenzioso che anche quando lo si vede nelle interviste sembra di ascoltare qualcuno esterno alla E Street Band, non un suo membro fondatore.
Dicono si sia scopato Patti Scialfa prima che la rossa riuscisse a fare il colpo grosso e a far invaghire il capo dei capi; forse amava fare l’ingegnere della tastiera e incasinarsi con cavi e saldature per far funzionare vecchi arnesi analogici che servissero alla causa del Boss.
Cosa abbiamo di sicuro del fantasma Danny Federici?
Mi viene in mente una formazione musicale coeva alla sua giovinezza fatta di Chuck Leavell, Al Kooper e, che ne so, Booker T. Jones pittosto che Brian Auger; mi vengono in mente ascolti di british blues, e di Stax; mi sovviene una possibile fascinazione per Jimmy Smith e per la musica folk, vista l'altra sua grande passione: la fisarmonica.
A lui va tutta la mia simpatia per l’origine leggendaria del suo soprannome che pare gli venisse dall’essere sfuggito agli sbirri in occasione di una retata o qualcosa del genere.
Cosa abbiamo di VERAMENTE sicuro su Danny Federici?
Prendete “Born to run”, mettetelo sul piatto (se ne avete uno, sennò anche il CD va bene) e ascoltate Jungleland: quando Bruce canta “...from the churches to the jails...” quell'organo tonante, epico che parte sotto alla voce del cantante è la voce di Danny Federici; oppure procuratevi una copia di “The river” se non l’avete ancora e gustatevi l’assoletto di “Hungry heart” che è una miniatura di stile e spensieratezza; oppure ancora, riascoltate “Spirit in the night” e la magistrale introduzione di organo, o l’accompagnamento di fisa in “Bishop danced”...
Ovunque andiate, là dove Bruce Springsteen ha fatto grande musica, troverete l’invisibile, appena udibile a volte, contributo di Danny Federici, uno che con taaanti accordi o quattro note ben selezionate, ha aiutato il suo capo-comico a sferrare l’assalto al cielo.
Quanto a lui, a Danny, oramai è ricongiunto per sempre col suo nomignolo e, nelle notti di rockarolla che ancora Bruce e la E Street vorranno dispensare al popolo, dall’alto, potrà guardare ridacchiando i suoi acciaccati compari e il suo indomito e cigolante capo pensando che forse, andandosene anzitempo, ha evitato la dolorosa consapevolezza della fine del mito in terra e dato inizio, proprio lui, il più sfuggente della cricca, alla leggenda di ciò che sono stati tutti loro, nella storia.
Danny Federici è morto, lunga vita a Danny Federici.
Oggi, ci tocca cominciare a fare i conti con la caduta del mito dell’eterna giovinezza che la E Street Band ha incarnato. Vederli suonare a più di cinquant’anni con la passione e lo stesso divertimento dei loro anni verdi era una delle più belle esperienze che un rockettaro potesse vivere. La E Street Band era un banditore di speranza da stadio e chi l’ha vista almeno una volta lo sa. Danny Federici, a giudicare dal suo aspetto e dal suo ruolo nella band, deve sempre esser rifuggito dal virus della rockstar. Se si è scopato qualche modella californiana, buon per lui ma a me non ne è mai arrivata notizia; se ha comprato un ranch e allevato bufali, beh, da paura, ma io non lo ho mai saputo; se si è fatto le pere o le canne o le strisce nel backstage io non me ne sono accorto. Danny Federici portava un’acconciatura da impiegato alle poste di Freehold (NJ), indossava camicie a quadri infilate dentro i calzoni (dentro, non fuori) o completi scuri con t-shirt: era un sobrio intrattenitore, questo era per molti devoti del culto springsteeniano. A differenza dei suoi compagni di gang era meno appariscente e caratteristico e forse per questo, anche meno amato. Non ha mai creato un culto intorno alla sua persona pur appartenendo ad una delle più famose band di rock’n’roll di tutti i tempi. Meno coreografico di Clarence Clemons, meno istrionico di Miami Steve, meno sornione di Roy Bittan e meno fomentato di Mighty Max, non si è buttato subito a fare il produttore e lo scopritore di talenti quando il boss, all’inizio dei ‘90, lo mise in cassa integrazione insieme col resto della E Street; non ha partecipato a sessioni di lusso, né se n'è uscito con malinconiche carriere soliste prive del nerbo necessario a diventare tali, giusto un paio di dischi più per voglia de tajasse che altro. Forse della E Street Band era il membro che più di tutti aveva serenamente compreso ed accettato il proprio ruolo: un impiegato dell’organo hammond alle dipendenze del Boss, un dipendente. Forse alla fine del secolo scorso è stato quello che più di altri ha fatto presente al suo amico, ex-capo, ex-datore di lavoro che i suoi ex-dipendenti sarebbero finiti sul lastrico se non si fossero rimessi insieme; forse è stato il più sincero con Springsteen e, da vecchio amico/compagno di scuola/membro dei Child (poi conosciuti come Steel Mill), di Dr. Zoom & the sonic boom (la band di Springsteen che teneva sul palco, contemporaneamente al concerto, una partita di Monopoli a cui partecipavano elementi del pubblico presente) e poi della E Street Band, avrà fatto notare al Boss che la sua musica ci aveva guadagnato un proverbiale cazzo dalla svolta iper-solista che aveva intrapreso. Forse, forse, forse..
La carriera, e in un certo senso la vita, di Phantom Dan è talmente irrelata a quella del suo illustre principale da sembrarne un’emanazione, e così parlare di lui sarebbe l’ennesima occasione per parlare di Bruce Springsteen. Beh, oggi non ho proprio voglia di fare questo, così, per gioco, preferisco provare ad immaginarmelo, Danny Federici.
Un uomo sobrio, defilato, una figura solida e piazzata nel mezzo di un circo di cui ne era colonna portante. Beveva alcolici ? Forse, e allora? Andava a puttane? E perché no? Talmente silenzioso che anche quando lo si vede nelle interviste sembra di ascoltare qualcuno esterno alla E Street Band, non un suo membro fondatore.
Dicono si sia scopato Patti Scialfa prima che la rossa riuscisse a fare il colpo grosso e a far invaghire il capo dei capi; forse amava fare l’ingegnere della tastiera e incasinarsi con cavi e saldature per far funzionare vecchi arnesi analogici che servissero alla causa del Boss.
Cosa abbiamo di sicuro del fantasma Danny Federici?
Mi viene in mente una formazione musicale coeva alla sua giovinezza fatta di Chuck Leavell, Al Kooper e, che ne so, Booker T. Jones pittosto che Brian Auger; mi vengono in mente ascolti di british blues, e di Stax; mi sovviene una possibile fascinazione per Jimmy Smith e per la musica folk, vista l'altra sua grande passione: la fisarmonica.
A lui va tutta la mia simpatia per l’origine leggendaria del suo soprannome che pare gli venisse dall’essere sfuggito agli sbirri in occasione di una retata o qualcosa del genere.
Cosa abbiamo di VERAMENTE sicuro su Danny Federici?
Prendete “Born to run”, mettetelo sul piatto (se ne avete uno, sennò anche il CD va bene) e ascoltate Jungleland: quando Bruce canta “...from the churches to the jails...” quell'organo tonante, epico che parte sotto alla voce del cantante è la voce di Danny Federici; oppure procuratevi una copia di “The river” se non l’avete ancora e gustatevi l’assoletto di “Hungry heart” che è una miniatura di stile e spensieratezza; oppure ancora, riascoltate “Spirit in the night” e la magistrale introduzione di organo, o l’accompagnamento di fisa in “Bishop danced”...
Ovunque andiate, là dove Bruce Springsteen ha fatto grande musica, troverete l’invisibile, appena udibile a volte, contributo di Danny Federici, uno che con taaanti accordi o quattro note ben selezionate, ha aiutato il suo capo-comico a sferrare l’assalto al cielo.
Quanto a lui, a Danny, oramai è ricongiunto per sempre col suo nomignolo e, nelle notti di rockarolla che ancora Bruce e la E Street vorranno dispensare al popolo, dall’alto, potrà guardare ridacchiando i suoi acciaccati compari e il suo indomito e cigolante capo pensando che forse, andandosene anzitempo, ha evitato la dolorosa consapevolezza della fine del mito in terra e dato inizio, proprio lui, il più sfuggente della cricca, alla leggenda di ciò che sono stati tutti loro, nella storia.
Danny Federici è morto, lunga vita a Danny Federici.
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