Sono i numeri, a parlare. Nel senso, se un disco uscito nel 2008 già l'ho ascoltato cinque volte e NON per lavoro e NON per forza o per studiarlo, vuol dire che sono di fronte a qualcosa. Drammatico: io ascolto almeno 10 dischi a settimana, e me ne ricorderò a stento 2, e di questi 2 mi ricorderò al massimo due o tre tracce. Certo, ci sono eccezioni, ma sono rare, e sicuramente NON (e siamo al terzo non maiuscolo in cinque righe, signori) occorse nel 2008.
2008 che tra l'altro nonostante sia iniziato da quattro mesi abbondanti, ha già visto un bel po' di gruppi poopolari e mediamente apprezzati tornare nei negozi (e lì rimanerci muahahaha) con dei lavori nuovi e iperstrombazzati. I Counting Crows, per esempio, dopo sei anni di silenzio hanno pubblicato un disco di cui non c'era affatto bisogno, o i redivivi Black Crowes, che tornati a fare blocco con Rick Rubin hanno messo fuori pure loro un disco di cui non c'era bisogno, ma che almeno riesce a conservare lo stato di veglia fino alla fine, e soprattutto dimostra che il gruppo non è steso definitivamente sui suoi allori, ma ha ancora voglia di fare qualcosa di fresco, in buona parte riuscendoci. Lo stesso Trent Reznor ha deciso di versare nei nostri iTunes (ehm, nei VOSTRI iTunes) un'altra quarantina scarsa di tracce, pubblicate inizialmente con la stessa tattica (se non più fondamentalista) dei Radiohead, comprese di (magnifiche) copertine, cazzi mazzi frizzi e lazzi. Un disco anche questo insopportabile per chi non sia convertito con fede al Reznorismo, cioè per chi apprezza i suoi dischi perché li ha fatti lui. Insomma, finora di dischi che ho voluto riascoltare, o di cui mi ricordo ALMENO UNA TRACCIA a memoria, non ce ne sono.
E qui arriva l'eccezione.
Io onestamente temevo che il nuovo disco dei R.E.M. fosse un'altra calla di passaggio come lo erano stati i due precedenti dischi, pieni sicuramente di cose carine, ma senza quella grandezza che da un gruppo del genere bisogna aspettarsela, poi quando ho letto in giro, sull’AUTOREVOLISSIMA rubrica musicale di Repubblica “Questo sarà un disco molto rock”, mi sono effettivamente preparato alla catastrofe, dato che rock è la parola che la stampa italiana mette ai dischi quando sono banali – e del resto è anche vero che se non sono banali, la stampa italiana dei dischi non ne parla, altrimenti come faremmo ad avere VascoRossi tra i coglioni da quasi trent’anni?
In alternativa: ero terrorizzato dall'idea che si fossero imbarcati in un altro viaggio sperimentale che avrebbe portato a una bella rottura di coglioni come Up, anche se tutto sommato loro per quello sono completamente giustificati, perché rischia di veder stirare MENTRE STAI SUONANDO il tuo batterista, uno con cui sono vent'anni che suoni, ci vivi, ci litighi, ti ci sbronzi e vai in giro in furgone (o nel jet privato, fa nulla: sempre di sindromi di Peter Pan in un interno parliamo). Poi sfido chiunque a non tirare fuori un disco cupo e attorcigliato su se stesso come un punto interrogativo – benché tra le sue fila possa annoverare due tra le canzoni più splendentemente delicate dei R.E.M., e cioè At my most beautiful e quel miracolo che è Daysleeper.
Giustificato questo, e compreso nel suo arco anche l'aggiustamento di tiro dei due dischi precedenti (che vale la pena ricordare siano stati punteggiati da un Greatest Hits e da un live), qua o ci si aspettava grandi cose o lo sfacelo totale, sarebbe a dire che i R.E.M. si perdessero definitivamente per strada come – che ne so – gli U2. E invece Accelerate è uno dei dischi migliori e più vivi della loro produzione dai tempi di New adventures in Hi-Fi, quindi da una decina d'anni a questa parte.
Ora, detto tra noi, 'sto disco non è figo (solo) perché le canzoni dentro sono orecchiabili, divertenti, memorabili ed efficaci (in due parole: scritte benissimo), quanto perché questo disco ha un carattere, evidente e ben preciso, che getta una luce piuttosto netta sulla band e sulla sua attitudine. Accelerate è un disco umile, fatto da gente divertita per divertire e divertirsi. Dentro ci sono cose che un orecchio attento percepisce, e un orecchio meno attento no ma non per questo può goderne di meno. Dentro c’è l’american music, Bob Dylan, Lou Reed, Springsteen, e soprattutto l’ingrediente migliore: un sacco di primi R.E.M. Ora lo so che il cuoco salterà su a dire Sì ma i primi R.E.M. in realtà sono i Byrds con l’impianto wave, e io gli risponderò Va bene, hai ragione ma non è questo quello che volevo dire.
Quello che volevo dire è che i R.E.M. hanno fatto nel 2008, a quarant’anni e passa di età, un disco che avrebbero potuto fare venticinque anni fa, a vent’anni – e per inciso: un disco che nemmeno un ventenne farebbe, nel 2008. E volete sapere perché? Ve l’ho già detto: perché Accelerate è un disco UMILE, di una band che umile si è rivelata, all’apice della carriera, e dall’alto di una posizione che molti altri gruppi stanno scialacquando o mettendo a rendita come un appartamento a Trevi.
Al contrario. Si sono chiusi in una stanza e hanno scritto canzoni dimenticando di essere i R.E.M., ma essendolo e basta: spontaneamente, creativamente e liberamente non hanno potuto fare a meno di ritrovare l’entusiasmo di suonare piuttosto che fare soldi facili, e aoh: l’entusiasmo sta nella musica che ascolti, perché è stato già abbastanza dimostrato, secondo me, che se al contrario si cerca l’entusiasmo nella musica che si è riusciti a fare si fa la fine dei Beatles nel 1968, cioè ER PEGGIO CARROZZONE (anche se magari avercene; ma è di attitudine, sempre, che stiamo parlando).
Risultato, Accelerate, che è un disco grandioso ma senza grandeur, come avrebbero fatto per esempio gli U2, ma del resto che volete? In questo sta la differenza tra essere americani e irlandesi, non ce la possiamo prendere con gli U2 perché se la tirano, loro sono stati i Beatles d’Irlanda, l’Unico Gruppo Irlandese (se escludiamo i Pogues che insomma, a escludersi ci hanno già pensato da soli), sono una bandiera nazionale, provate a intervistare la bandiera italiana che sventola al Quirinale, vedete quanta boria tirerà fuori. Essere americani in questo caso, invece, aiuta, perché con la tradizione nazionale devi confrontartici. Fare rock americano in America significa che gli spettri di quella gente che ti ha influenzato (Bob Dylan, Lou Reed, Springsteen) ce li hai alla porta, pronti a visitarti in qualsiasi momento, magari addirittura fisicamente. Non è facile alzarsi a rappresentanza del rock americano (se per rock intendiamo CHIARAMENTE le sue estensioni più larghe).
E allora ecco perché i R.E.M. hanno fatto un disco strepitoso: perché non hanno avuto paura di dire la loro, a differenza di altri che hanno voluto mettere un punto e hanno fallito (come gli ultimi due dischi del Boss, per esempio) su questa tradizione: commento e non rinnovamento, immettersi nella corrente senza combatterla per forza, testa alta, orecchie pulite, e la cosa fondamentale: le chitarre a cannone, cazzo.
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John Coltrane: Syeeda's song flute
Ben Folds Five: Underground
Weezer: No one else
Black Lips: Slime and oxygen
Tom Waits: Warm beer and cold women
Faith No More: Evidence
Blood ’77: Loyalty street
Earth, Wind & Fire: Can’t hide love
Booker T. & the MG’s: Can’t be still
Eric “Monty” Morris: Enna Bella
Bob Dylan: Subterranean homesick blues
Stevie Wonder: I was made to love her
Ani DiFranco: Heartbreak even
Discharge: The possibilità of life’s destruction