La domanda è: Cosa fa un cantante quando il gruppo in cui sta suonando si imbarca in uno strumentale di due minuti? Balla? Fa il cretino con il microfono? Di sicuro non guarda verso la platea, questo è sicuro, perché privo del suo appeal da uomo esprimentesi nell’hic et nunc, non può nemmeno chiudere gli occhi e far finta di lasciarsi andare alla Potenza della Musica (Insomma: queste cose andavano bene 30 anni fa quando l’uso di eroina era tutta un’altra faccenda – o al massimo 20, quando i cantanti potevano sempre lanciarsi in un accesso di robot dance che taaaanto piaceva alle ragazzine. Forse.). Balla? Fa come quell’invasato di Cedric Bixler che si spompa e si esercita nei suoi numeri da Lefaremosapere del Circo Togni tanto da rimanere spompato e NON RIUSCIRE A CANTARE UNA NOTA A TONO PER TUTTO IL RESTO DEL CONCERTO? Spero di no.
Insomma: la maggior parte dei cantanti che conosco e che ho visto si rompe il cazzo e non sa più cosa inventarsi dopo 20 secondi di strumentale, figuriamoci se deve riempire due minuti di vuoto. Non so, a questo punto meglio rendersi utili: fare due chiacchiere con il pubblico, capire se si sente a suo agio (altre opzioni possibili: distribuire acqua o bibite, far passare il piatto con le tartine, roba del genere: insomma, c’è sempre da fare per chi ha buona volontà).
La domanda mi è venuta mentre ascoltavo i The Fall Of Troy. Lo so, un gruppo che non mi si addirebbe, dato che tra le tag in tutta la rete figura la peggiore di tutte, cioè PROGRESSIVE. Però è anche vero che Equal Vision (la loro etichetta, che comunque è di tutto rispetto) ha fatto la giusta campagna stampa mettendo in prima linea il fatto che i Deftones li hanno scelti per aprire la loro tournée in America.
Ora: che i Deftones abbiano scelto PERSONALMENTE i The Fall Of Troy come opening act è una cosa che comunque i miei bravi dubbi me li fa venire. Ho visto un po’ troppe cose zozze per credere a cose del genere, e per principio ho imparato a non prendere per buona UNA PAROLA UNA di quello che scrivono gli uffici stampa, soprattutto musicale (c’è una cosa interessante che scrive Jeff Calder in un saggio di qualche anno fa: scrive La gente che lavora nell’industria musicale non fa altro che cercare a tutti i costi di mantenere il proprio lavoro; non scelgono, non osano, non propongono. Ora: questa era la situazione in America all’inizio degli anni 80, so che le cose sono cambiate vigorosamente, ma sapete com’è...).
Però se mi nominate i Deftones, io alzo le mani e aguzzo le orecchie: non per niente sono l’unico gruppo che salverei dell’ondata crossover della seconda metà dei 90’s (NON i Korn che si sono resi ridicoli da soli, NON i Limp Bizkit che sapevano dall’inizio di essere una boyband col pedalino della distorsione, NON gli Incubus che hanno capito presto dove stavano i soldi – cioè nelle cover di Natalie Imbruglia), un gruppo che nonostante alcune scelte discutibili ha mantenuto la sua rispettabilità e tutto sommato sta facendo una musica che non c’è bisogno di avere i dreadlocks verdi per poter ascoltare.
Quindi mi sono procurato (badate bene: PROCURATO) i due dischi di questi The Fall Of Troy pensando Però, se vi siete procurati una vetrina del genere qualcosa qualcosa la sapete fare, poi sono uscito di casa e me li sono portati dietro.
Quindi questi The Fall Of Troy sono una band che si è messa in testa di mettere insieme questo nuovo progressive aggressivo à la The Mars Volta e gli atteggiamenti screamo che stanno spopolando ultimamente (che taaaanto piace alle ragazzine). Beninteso: sempre visto che non siamo più negli anni 70, stiamo parlando di progressive non tanto fatto di notine o invocazione degli elfi, quanto di storture dei tempi e arrangiamenti (soprattutto di chitarra) complessi e bizzarri. Certo, ricade sempre in quella categoria di musica che per suonarla tocca essere BRAVI PER FORZA – il che farà storcere il naso a molti espressionisti della prima ora o a molti pentiti dello string skipping, tra cui ME – ma almeno non danno l’aria di essere altezzosi come i gruppi progressive metal, su cui non ho intenzione di spendere nemmeno una parola.
Sarà, tra l’altro, che dopo i Dilliger Escape Plan anche queste prodezze poliritmiche e le chitarre funamboliche sono state in qualche modo sdoganate e siano tornate nelle grazie degli ascoltatori di musica non virtuosa, ma in qualche modo dischi del genere non sembrano più cascare dal pero, e abbiamo la possibilità di avere un atteggiamento un po’ più rilassato nel giudicarlo, ma allo stesso modo, dato che i The Fall Of Troy non arrivano a ricordare se non per brevissimi momenti quelle macine furiose dei DEP, la loro musica non è particolarmente convincente né avvincente, ed è quasi sempre costruita su atteggiamenti un po’ ambigui e ambivalenti, a metà strada tra la prolissità metal, aperture screamo (appunto) e come abbiamo detto, dosi massicce di Mars Volta.
Che poi parliamoci chiaro: dal momento in cui i Mars Volta sono IL GRUPPO PIU’ SPOCCHIOSO DELLA TERRA il fatto di essere misurati e vagamente temperanti mi fa quasi prendere in simpatia questi tre poveracci dello stato di Washington. Niente ammiccamenti a Santana dunque (e per fortuna), niente intermezzi infiniti (e noiosissimi) di stampo Kosmische Musik (la cosa più pretenziosa che ho sentito in un disco uscito dopo il 1994), e niente voci effettate a tutti i costi.
Il che fa piacere se non altro perché i TFOT sono ancora in tempo per scegliersi dei maestri meno artsy-fartsy e dare una svolta un po’ più generosa alla propria musica. Mo’ esce il nuovo, a giorni. Quindi magari se proprio proprio vi interessa potete anche dargli una chance e vedere che cosa hanno deciso di fare della propria vita.
In tutto questo, ho anche scoperto cosa fa il loro, di cantante, durante i lunghi intermezzi strumentali. NIENTE: visto che – essendo un power trio – il cantante è anche il chitarrista. QUESTO significa essere saggi, perlomeno.
playlist>
the rolling stones: she smiled sweetly
poison the well: pleasant bullet
i am the tiger: dead paper
kelly lester: love letters
bob dylan: she belongs to me
converge: black cloud
elvis presley: suspicious minds
a taste of ra: ride your smile
the dictators: who will save rock and roll?
cliff martinez: can i sit next to you?
james brown: i got you (i feel good)
Insomma: la maggior parte dei cantanti che conosco e che ho visto si rompe il cazzo e non sa più cosa inventarsi dopo 20 secondi di strumentale, figuriamoci se deve riempire due minuti di vuoto. Non so, a questo punto meglio rendersi utili: fare due chiacchiere con il pubblico, capire se si sente a suo agio (altre opzioni possibili: distribuire acqua o bibite, far passare il piatto con le tartine, roba del genere: insomma, c’è sempre da fare per chi ha buona volontà).
La domanda mi è venuta mentre ascoltavo i The Fall Of Troy. Lo so, un gruppo che non mi si addirebbe, dato che tra le tag in tutta la rete figura la peggiore di tutte, cioè PROGRESSIVE. Però è anche vero che Equal Vision (la loro etichetta, che comunque è di tutto rispetto) ha fatto la giusta campagna stampa mettendo in prima linea il fatto che i Deftones li hanno scelti per aprire la loro tournée in America.
Ora: che i Deftones abbiano scelto PERSONALMENTE i The Fall Of Troy come opening act è una cosa che comunque i miei bravi dubbi me li fa venire. Ho visto un po’ troppe cose zozze per credere a cose del genere, e per principio ho imparato a non prendere per buona UNA PAROLA UNA di quello che scrivono gli uffici stampa, soprattutto musicale (c’è una cosa interessante che scrive Jeff Calder in un saggio di qualche anno fa: scrive La gente che lavora nell’industria musicale non fa altro che cercare a tutti i costi di mantenere il proprio lavoro; non scelgono, non osano, non propongono. Ora: questa era la situazione in America all’inizio degli anni 80, so che le cose sono cambiate vigorosamente, ma sapete com’è...).
Però se mi nominate i Deftones, io alzo le mani e aguzzo le orecchie: non per niente sono l’unico gruppo che salverei dell’ondata crossover della seconda metà dei 90’s (NON i Korn che si sono resi ridicoli da soli, NON i Limp Bizkit che sapevano dall’inizio di essere una boyband col pedalino della distorsione, NON gli Incubus che hanno capito presto dove stavano i soldi – cioè nelle cover di Natalie Imbruglia), un gruppo che nonostante alcune scelte discutibili ha mantenuto la sua rispettabilità e tutto sommato sta facendo una musica che non c’è bisogno di avere i dreadlocks verdi per poter ascoltare.
Quindi mi sono procurato (badate bene: PROCURATO) i due dischi di questi The Fall Of Troy pensando Però, se vi siete procurati una vetrina del genere qualcosa qualcosa la sapete fare, poi sono uscito di casa e me li sono portati dietro.
Quindi questi The Fall Of Troy sono una band che si è messa in testa di mettere insieme questo nuovo progressive aggressivo à la The Mars Volta e gli atteggiamenti screamo che stanno spopolando ultimamente (che taaaanto piace alle ragazzine). Beninteso: sempre visto che non siamo più negli anni 70, stiamo parlando di progressive non tanto fatto di notine o invocazione degli elfi, quanto di storture dei tempi e arrangiamenti (soprattutto di chitarra) complessi e bizzarri. Certo, ricade sempre in quella categoria di musica che per suonarla tocca essere BRAVI PER FORZA – il che farà storcere il naso a molti espressionisti della prima ora o a molti pentiti dello string skipping, tra cui ME – ma almeno non danno l’aria di essere altezzosi come i gruppi progressive metal, su cui non ho intenzione di spendere nemmeno una parola.
Sarà, tra l’altro, che dopo i Dilliger Escape Plan anche queste prodezze poliritmiche e le chitarre funamboliche sono state in qualche modo sdoganate e siano tornate nelle grazie degli ascoltatori di musica non virtuosa, ma in qualche modo dischi del genere non sembrano più cascare dal pero, e abbiamo la possibilità di avere un atteggiamento un po’ più rilassato nel giudicarlo, ma allo stesso modo, dato che i The Fall Of Troy non arrivano a ricordare se non per brevissimi momenti quelle macine furiose dei DEP, la loro musica non è particolarmente convincente né avvincente, ed è quasi sempre costruita su atteggiamenti un po’ ambigui e ambivalenti, a metà strada tra la prolissità metal, aperture screamo (appunto) e come abbiamo detto, dosi massicce di Mars Volta.
Che poi parliamoci chiaro: dal momento in cui i Mars Volta sono IL GRUPPO PIU’ SPOCCHIOSO DELLA TERRA il fatto di essere misurati e vagamente temperanti mi fa quasi prendere in simpatia questi tre poveracci dello stato di Washington. Niente ammiccamenti a Santana dunque (e per fortuna), niente intermezzi infiniti (e noiosissimi) di stampo Kosmische Musik (la cosa più pretenziosa che ho sentito in un disco uscito dopo il 1994), e niente voci effettate a tutti i costi.
Il che fa piacere se non altro perché i TFOT sono ancora in tempo per scegliersi dei maestri meno artsy-fartsy e dare una svolta un po’ più generosa alla propria musica. Mo’ esce il nuovo, a giorni. Quindi magari se proprio proprio vi interessa potete anche dargli una chance e vedere che cosa hanno deciso di fare della propria vita.
In tutto questo, ho anche scoperto cosa fa il loro, di cantante, durante i lunghi intermezzi strumentali. NIENTE: visto che – essendo un power trio – il cantante è anche il chitarrista. QUESTO significa essere saggi, perlomeno.
playlist>
the rolling stones: she smiled sweetly
poison the well: pleasant bullet
i am the tiger: dead paper
kelly lester: love letters
bob dylan: she belongs to me
converge: black cloud
elvis presley: suspicious minds
a taste of ra: ride your smile
the dictators: who will save rock and roll?
cliff martinez: can i sit next to you?
james brown: i got you (i feel good)