Ok, sono pronto adesso per parlare del disco nuovo dei Comeback Kid. L’ho aspettato a lungo, me lo sono procurato appena possibile, e poi l’ho ascoltato con cura, rosicando perché non ci capivo niente.
Che è una cosa che mi fa rosicare, soprattutto se parliamo dei Comeback Kid, perché nonostante siano un gruppo che utilizza in maniera disinvolta la scrittura hardcore (cioè sostanzialmente atematica), riusciva a proporre una musica piuttosto completa, sotto diversi punti di vista. Aggressivissima ma chiara – se usassero anche loro le chitarrone dei Terror vedreste come spingono le parti mosh, ma loro sono saggi e hanno un’ispirazione punk, insomma, e non metal: Gibson SG, dunque, non ESP – gusto per i fraseggi melodici, grandissima cura per i particolari, soprattutto ritmici, e in definitiva dei pezzi concisi, diretti, senza troppi sbrodolamenti, e riff clamorosi.
E allora è per questo che ho rosicato: molte di queste cose nel disco nuovo (che si chiama Broadcasting...) non ci sono più.
Ora, verrebbe da pensare che tutto questo sia dovuto largamente alla dipartita del loro vecchio cantante (Scott Wade) che ha lasciato il gruppo perché si era rotto le palle della vita on the road e insomma si voleva accasare e sotto certi versi chiamatelo scemo, se ci riuscite. Andando via il buon Scott e il suo tono da pescivendolo rissoso (molto meglio su disco che dal vivo), l’incombenza vocale è passata nelle mani di uno dei due chitarristi, Andrew Neufeld, che prima dei Comeback Kid stava in un gruppo che si chiamava Figure Four e usciva per Solid State – e non lo dico solo per fare il figo, quindi seguitemi bene).
Di solito si pensa che i gruppi hardcore compongano in strumentale e ai cantanti venga affidato il solo compito di metterci sopra un testo con una metrica convincente, e di conseguenza di strillarlo finché non stramazzano al suolo (o non lo fanno i ballerini violenti ai loro concerti). Può essere vero (anzi di certo lo è) per molte band, ma allo stesso tempo un gruppo è un gruppo finché è la somma di determinati elementi: cambi gli elementi, cambierà naturalmente la somma. Potrebbe essere questa allora – oltre a una naturale evoluzione dello stile e delle influenze che in due anni da queste parti subisce più rivoluzioni che uno stato del Centro Africa – una delle spiegazioni del cambio di rotta dei Comeback Kid, che si riassume in due punti principali.
Innanzitutto – ma questo s’era capito e d’altro canto era anche ovvio – lo stile vocale, che dal declamatorio agitprop di Scott Wade passa a una tonalità più sofferta e sempre al limite, con curve spesso ascendenti più che discendenti – qualcosa che ricorda continuamente un Vengooo Vengooo, avete presente? –più dolorante che minacciosa, e dunque più intimista: in due parole, più Solid State che ardecòre (e tra un po’ vi spiego pure che cosa intendo una volta per tutte).
Poi: la scrittura abbandona un po’ il riff-o-rama (grazie cuoco per lo splendido neologismo) a cavallo tra old e new school che aveva fatto la loro fortuna (e causato più di qualche livido nel moshpit, sono sicuro), per approdare a un approccio più armonico, facendo affidamento più a climax emotivi dettati dagli accordi che all’incazzatura dura e pura dei vecchi dischi.
Insomma, i Comeback Kid post-Scott Wade sono un gruppo che strizza pesantemente l’occhio all’emocore/new school che sta facendo la fortuna di etichette come (eccoci qua) la Solid State e la gemella Tooth & Nail - che è un po’ l’equivalente del rasoio femminile, se vogliamo - e gruppi come Life In Your Way, ma anche gli stessi Norma Jean una volta in mano a Sua Piattezza Ross Robinson.
Sarà che l’estrazione dell’attuale cantante (e responsabile di buona parte dei pezzi) è proprio quella, sarà che questa è la musica che va per la maggiore in questi ambienti, sarà che dopotutto è anche lì che stanno i soldi, e allora si capisce che cosa sta succedendo.
Il che per certi aspetti è una presa a male – perché Wake the dead era un disco spettacolare – ma in definitiva non è una tragedia, perché tutto sommato nonostante qualche ruffianata, qualche piagnucolata qua e là e qualche pezzo sottotono (cosa che nel disco precedente non esisteva proprio), Broadcasting è in definitiva un buon disco, di quelli che si riascoltano con piacere, e tutto sommato fanno anche venire una discreta munizza.
Va anche detto che nel frattempo i nostri bravi amici canadesi sono cresciuti ulteriormente: la batteria è mozzafiato, le chitarre precisissime e PARECCHIO epilettiche (la cavalcata che sta in mezzo a Come Around è in grado di rifarla solo Kerry King), e in definitiva i pezzi vanno giù abbastanza bene (se non fosse per l’opening track, Defeated, che finisce dopo un minuto e mezzo e va avanti così PER SEMPRE, e che tra l’altro è esattamente il Bignami di tutti i punti deboli di questo disco), la voce in fondo in fondo non è nemmeno particolarmente fastidiosa (niente in confronto agli Alexisonfire, per capirci), e anche se la produzione è più spigolosa del disco precedente – pur se affidata sempre all'ex bandiera nera Bill Stevenson – alla fine non sconfina né nelle nubi dell’emocore da grande artista, né nel metal cretino come – tipo – l’ultimo Terror (che dai, fa veramente ridere: sembra che abbiano dissotterrato intatta la sala dove hanno registrato i Nevermore, si siano messi seduti e abbiano premuto REC).
Fortunatamente è cresciuto, col tempo: all’inizio era già bell’e pronto a una stroncatura esemplare. Del resto non essendo io un critico (ma come vi permettete?) e avendo adorato il loro disco precedente, sono stato fin troppo facilmente colto dalla smania di ascoltare ancora e ancora qualcosa di simile.
Ché del resto è questo il problema di fare un disco fantastico. Voi pensate di poter campare di rendita? Impossibile. O ne fate un altro per forza – altrimenti noialtri vi tiriamo i carciofi – o vi sciogliete e vi mettete a fare ALTRO.
Morale della favola: c’è sempre da imparare dai Refused.
PLAYLIST>
cure: high
boards of canada: aquarius
spandau ballet: i’ll fly for you
inferno: lowest common detonator
taxi: the vampire
mandible chatter: the myth of progress
combatwoundedveteran: i’ve got a slingshot, want to get hurt? (again, faster)
tears for fears: everybody wants to rule the world
slayer: serenity in murder
don caballero: chief sitting duck
the who: it’s not true
Che è una cosa che mi fa rosicare, soprattutto se parliamo dei Comeback Kid, perché nonostante siano un gruppo che utilizza in maniera disinvolta la scrittura hardcore (cioè sostanzialmente atematica), riusciva a proporre una musica piuttosto completa, sotto diversi punti di vista. Aggressivissima ma chiara – se usassero anche loro le chitarrone dei Terror vedreste come spingono le parti mosh, ma loro sono saggi e hanno un’ispirazione punk, insomma, e non metal: Gibson SG, dunque, non ESP – gusto per i fraseggi melodici, grandissima cura per i particolari, soprattutto ritmici, e in definitiva dei pezzi concisi, diretti, senza troppi sbrodolamenti, e riff clamorosi.
E allora è per questo che ho rosicato: molte di queste cose nel disco nuovo (che si chiama Broadcasting...) non ci sono più.
Ora, verrebbe da pensare che tutto questo sia dovuto largamente alla dipartita del loro vecchio cantante (Scott Wade) che ha lasciato il gruppo perché si era rotto le palle della vita on the road e insomma si voleva accasare e sotto certi versi chiamatelo scemo, se ci riuscite. Andando via il buon Scott e il suo tono da pescivendolo rissoso (molto meglio su disco che dal vivo), l’incombenza vocale è passata nelle mani di uno dei due chitarristi, Andrew Neufeld, che prima dei Comeback Kid stava in un gruppo che si chiamava Figure Four e usciva per Solid State – e non lo dico solo per fare il figo, quindi seguitemi bene).
Di solito si pensa che i gruppi hardcore compongano in strumentale e ai cantanti venga affidato il solo compito di metterci sopra un testo con una metrica convincente, e di conseguenza di strillarlo finché non stramazzano al suolo (o non lo fanno i ballerini violenti ai loro concerti). Può essere vero (anzi di certo lo è) per molte band, ma allo stesso tempo un gruppo è un gruppo finché è la somma di determinati elementi: cambi gli elementi, cambierà naturalmente la somma. Potrebbe essere questa allora – oltre a una naturale evoluzione dello stile e delle influenze che in due anni da queste parti subisce più rivoluzioni che uno stato del Centro Africa – una delle spiegazioni del cambio di rotta dei Comeback Kid, che si riassume in due punti principali.
Innanzitutto – ma questo s’era capito e d’altro canto era anche ovvio – lo stile vocale, che dal declamatorio agitprop di Scott Wade passa a una tonalità più sofferta e sempre al limite, con curve spesso ascendenti più che discendenti – qualcosa che ricorda continuamente un Vengooo Vengooo, avete presente? –più dolorante che minacciosa, e dunque più intimista: in due parole, più Solid State che ardecòre (e tra un po’ vi spiego pure che cosa intendo una volta per tutte).
Poi: la scrittura abbandona un po’ il riff-o-rama (grazie cuoco per lo splendido neologismo) a cavallo tra old e new school che aveva fatto la loro fortuna (e causato più di qualche livido nel moshpit, sono sicuro), per approdare a un approccio più armonico, facendo affidamento più a climax emotivi dettati dagli accordi che all’incazzatura dura e pura dei vecchi dischi.
Insomma, i Comeback Kid post-Scott Wade sono un gruppo che strizza pesantemente l’occhio all’emocore/new school che sta facendo la fortuna di etichette come (eccoci qua) la Solid State e la gemella Tooth & Nail - che è un po’ l’equivalente del rasoio femminile, se vogliamo - e gruppi come Life In Your Way, ma anche gli stessi Norma Jean una volta in mano a Sua Piattezza Ross Robinson.
Sarà che l’estrazione dell’attuale cantante (e responsabile di buona parte dei pezzi) è proprio quella, sarà che questa è la musica che va per la maggiore in questi ambienti, sarà che dopotutto è anche lì che stanno i soldi, e allora si capisce che cosa sta succedendo.
Il che per certi aspetti è una presa a male – perché Wake the dead era un disco spettacolare – ma in definitiva non è una tragedia, perché tutto sommato nonostante qualche ruffianata, qualche piagnucolata qua e là e qualche pezzo sottotono (cosa che nel disco precedente non esisteva proprio), Broadcasting è in definitiva un buon disco, di quelli che si riascoltano con piacere, e tutto sommato fanno anche venire una discreta munizza.
Va anche detto che nel frattempo i nostri bravi amici canadesi sono cresciuti ulteriormente: la batteria è mozzafiato, le chitarre precisissime e PARECCHIO epilettiche (la cavalcata che sta in mezzo a Come Around è in grado di rifarla solo Kerry King), e in definitiva i pezzi vanno giù abbastanza bene (se non fosse per l’opening track, Defeated, che finisce dopo un minuto e mezzo e va avanti così PER SEMPRE, e che tra l’altro è esattamente il Bignami di tutti i punti deboli di questo disco), la voce in fondo in fondo non è nemmeno particolarmente fastidiosa (niente in confronto agli Alexisonfire, per capirci), e anche se la produzione è più spigolosa del disco precedente – pur se affidata sempre all'ex bandiera nera Bill Stevenson – alla fine non sconfina né nelle nubi dell’emocore da grande artista, né nel metal cretino come – tipo – l’ultimo Terror (che dai, fa veramente ridere: sembra che abbiano dissotterrato intatta la sala dove hanno registrato i Nevermore, si siano messi seduti e abbiano premuto REC).
Fortunatamente è cresciuto, col tempo: all’inizio era già bell’e pronto a una stroncatura esemplare. Del resto non essendo io un critico (ma come vi permettete?) e avendo adorato il loro disco precedente, sono stato fin troppo facilmente colto dalla smania di ascoltare ancora e ancora qualcosa di simile.
Ché del resto è questo il problema di fare un disco fantastico. Voi pensate di poter campare di rendita? Impossibile. O ne fate un altro per forza – altrimenti noialtri vi tiriamo i carciofi – o vi sciogliete e vi mettete a fare ALTRO.
Morale della favola: c’è sempre da imparare dai Refused.
PLAYLIST>
cure: high
boards of canada: aquarius
spandau ballet: i’ll fly for you
inferno: lowest common detonator
taxi: the vampire
mandible chatter: the myth of progress
combatwoundedveteran: i’ve got a slingshot, want to get hurt? (again, faster)
tears for fears: everybody wants to rule the world
slayer: serenity in murder
don caballero: chief sitting duck
the who: it’s not true