30 giugno 2011

Mean Jeans: Are you serious? (Dirtnap - 2009), ovvero: Da grande voglio essere qualcun altro.

Allora esattamente come Mark Chapman aveva sparato a John Lennon perché gliel’aveva detto Gesù, o Satana, adesso non ricordo ma dopotutto credo sia uguale, io mi sono procurato il disco dei Mean Jeans perché me l’ha detto Ratboy69. Ora voi potreste chiedermi chi è Ratboy69 ma son sicuro che Google ve lo dirà meglio di me, cosa più o meno valida per qualsiasi cosa tranne – forse – quello che sto per dirvi.
Io sono contento, quasi sempre, di ascoltare musica che si rifà direttamente ai capostipiti, nel senso: dopo aver ascoltato per anni roba derivativa che si rifaceva a una sola città o a una sola etichetta o addirittura a un solo LOCALE, perdio, avere tra le mani un gruppo che pota la fuffa (bella ‘sta frase) e salta a pié pari al centro della questione è rinfrescante, corroborante, e pure incoraggiante: scoprire che nonostante i decenni passati gli eroi della tua infanzia continuano ad essere eroi dell’infanzia di qualcun altro ti fa sentire meno solo, e detto tra noi ti autorizza pure a tirartela perché li hai scoperti prima tu e queste mezze seghe ti possono soltanto che offrire da bere. Ma la polemica dopo. Per una volta.
Insomma ’sti Mean Jeans sono tre manici di scopa di Portland, non ci metterei la mano sul fuoco che siano maggiorenni, ed escono per un’etichetta piccolissima e coraggiosa. Non c’è assolutamente motivo per NON dargli una chance, tanto più che il disco dura 25 minuti e io se c’è una cosa che premio a prescindere è il dono della sintesi, tanto più da quando sono diventato vecchio e impaziente (in opposizione a quando ero giovane e impaziente, ma lasciamo perdere).
I Mean Jeans, detto questo, se chiudete gli occhi – o se state camminando sotto il sole giaguaro delle quattro di pomeriggio di un fine giugno qualsiasi che non è qualsiasi ma QUESTO, che già ci stanno dicendo sarà il fine giugno dell’estate più calda da parecchio – ve li vedete, tutti e tre, con le magliette attillatissime (il batterista no, il batterista non ce l’ha, la maglietta) a suonare dentro un club scuro scuro, pieno di gente con i giacchetti di pelle e le Converse, e rigorosamente senza palco (e fin qui va bene), e magicamente sarà la musica sarà il caldo bestia sarà l’asfalto che evapora e chissà che visioni provoca, il locale si trasforma nel CBGB, è il 1976 e i tre manici di scopa in realtà sono quattro e noi sappiamo benissimo tutti i loro nomi, e anche il loro cognome che poi è la cosa più importante.
Insomma che i Mean Jeans non solo si ispirino, non solo paghino tributo ma vogliano senza troppe chiacchiere ESSERE i Ramones è chiaro come il sole di questo fine giugno tanto che proprio come questo sole di fine giugno non si può guardare.

Cosa voglio dire con questo:
Mi stanno simpatici e suscitano tenerezza i gruppi che coronano senza timore i loro anni di studio, soprattutto in ambito punk rock, ma il punk rock è un campo minato, la sua inclinazione alla semplicità, unita al suo calendario pieno zeppo di santi e semidei da venerare è cosa da prendere con la massima delicatezza.
Già perché se ascoltando i Mean Jeans mi viene voglia di ascoltare i Ramones è un conto, ma se ascoltando i Mean Jeans mi rendo conto che TANTO VALE ascoltare i Ramones, allora abbiamo un problema. Che poi per carità, io pure sto ancora rosicando che sia morto Joey e che Marky vada in giro con un suo manichino a fare tournée patetiche come un parrucchino, e a ben pensarci rosico che i Ramones non abbiano saputo quando tirare giù la saracinesca e che non abbiano saputo gestire tutta la seconda metà degli anni 80, io rosico per un botto di cose e anche io vorrei tanto svegliarmi una mattina e sapere che oggi esce Leave Home ma non è così: ma con questa cosa tocca farci PACE, non i DISCHI.
Quindi in definitiva io personalmente non sono sicuro che i Mean Jeans abbiano fatto un buon lavoro, nel senso: Are you serious è cariiiiiiino cariiiiiino, ve la farà prendere a bene e per l’estate è una mano santa ma se esce un'altra cosa loro io penserò Ah da paura i Mean Jeans me li ricordo no non me li ricordo, no, me li ricordo benissimo ma non erano loro: erano i Ramones.
Ecco perché i Mean Jeans mi hanno divertito tanto e ve li consiglierei pure.
Ascoltateveli, ascoltateveli voi, così almeno qualcuno se li ascolta, perché io, veramente: non credo che mai più.

Sentenza: 2/5

28 giugno 2011

La morte, la vita e l'assolo di Jungleland

La vita è un mozzico, Big Man, lo diceva sempre l'amico mio, diceva: “La vita è un mozzico”. Nel mio dialetto significa più o meno che tanto vale godersi quel che viene senza tenersi ceci in bocca, senza censurare i propri istinti, bassi o elevati che siano, e senza amareggiarsi troppo quando le cose non vanno: la vita è un mozzico, Big Man.
Così mentre tu un paio di sabati fa, ti facevi venire un ictus e te ne andavi trasportato da una brass band di angeli tutti neri di pelle e bianchi di veste, io venivo travolto da un lutto personale, familiare, di quelli che resti impietrito per mesi con la paranoia che possa succedere QUALUNQUE cosa a CHIUNQUE sia solo minimamente legato a te.
Così, mentre lo tsunami emotivo mi travolgeva venivo a conoscenza della tua dipartita e, francamente – spero non te abbia a male – là per là ho pensato: “È morto PURE Clarence Clemons... vabbè, ’sti cazzi”.
I dispiaceri personali incidono la nostra scorza più degli eventi storici: vediamo di capirci Big Man.
Alla persona che ho perduto si è spezzato il cuore, letteralmente. Nella vita non ha goduto di uno solo degli agi e della gloria nei quali invece hai meritatamente sguazzato tu grazie ai tuoi talenti: dovrei essere dispiaciuto per te?

Non fraintendermi, lo so che la tua scomparsa si misura su una scala di valori differente. So riconoscere con facilità l'importanza del tuo contributo alla storia del rock’n’roll – lo so che col tuo stile hai definito uno standard impensabile. Il linguaggio del sax, nel rock, ha fatto storcere la bocca a tanti, dal derisorio purista jazzofilo al rockettaro tutto ortodossia e chitarroni ma tu sei riuscito a rendere credibile e gagliardo un vocabolario che nella maggior parte dei casi (Sonics esclusi) smosciava la pompa selvaggia del combo rockarolla o, peggio, imbarocchiva a dismisura lo spartano frasario che il genere richiede. Lo so che sei stato un grande.
E devo anche constatare che, in culo ai fichetti mezze seghe che non hanno mai compreso il tuo “Roboante artigianato” sei comunque riuscito ad infilarti nel gotha dei sassofonisti no-jazz insieme a, che ne so, James Chance (infinitamente più geniale di te, ammettilo...) che invece LORO apprezzano assai. Bel dispetto Big Man, bella mossa.
Che lo si voglia o no sei nella storia e il fatto di non essere mai stato un genio ma semplicemente un bravo suonatore con un gran cuore e un orecchio attento alle direttive del tuo Boss ti rende, agli occhi miei, anche più simpatico.

Dell'importanza della tua figura nell'estetica della E Street Band e del tuo essenziale apporto al sound di una delle migliori e più celebrate band di tutti i tempi penso abbiano scritto e scriveranno abbastanza altri, meglio informati e fomentati di me al momento.
Quanto a me, invece, ti giunga il sentito ringraziamento per aver composto la colonna sonora dei miei romantici sogni di giovane uomo, sull'assolo di Jungleland, prima del epilogo esistenzialista di questa saga urbana in 4 tempi, quando in quella lunga nota d'attacco precipitavo in uno squarcio dello spazio-tempo e danzavo con la mia bella (che spesso era immaginaria) in un'improbabile notte stellata di New York City.
In quel mozzico che è la MIA vita, ci sei stato e ci sarai anche te.

25 giugno 2011

Dr. Dog: Easy beat [Park the van, 2005]

Ci sono due possibili recensioni di questo disco. Sono entrambe pessime.
Ad ogni modo: questa è una.

Ah i Dr. Dog dov'è che ne avevo sentito parlare non mi ricordo mettiamoli su vediamo ah ecco c'è dell'americana e poi ci stanno i kinks e tutto è condito di una certa bislacca angolosità alla pavement e poi c'è il post-rock e il kraut-rock tante tantissime cose loro si vede che sono intellettuali che prendono tutto poco sul serio anche se stessi talmente poco sul serio che poi fanno il giro e prendono un sacco sul serio il loro non prendersi sul serio e poi c'è bowie e tutto suona come se fosse registrato con un Nagra dell'OSS e le canzoni serpeggiano e deviano come fiumiciattoli ma non vanno da nessuna parte sono degli sketch di ispirazione che però non si incollano una all'altra c'è tutto un filone di indie rock che va avanti così si vedere che la forma canzone gli sta sul cazzo ma a me non mi sta sul cazzo e a me questi mi sembrano dei tizi che non si capiva bene cosa volevano fare e nel frattempo hanno fatto tutto e dev'essere per questo che m'è venuta un'improvvisa voglia di ascoltarmi i Meters.

Questa è un'altra:
Madonna che palle ma quando finisce sto disco oddio sto ancora a metà non ci posso credere mamma mia che palle che palle chppll non è possibile ma come mi è venuto in mente ma perché pitchfork non si fa i cazzi suoi ma perché mi fido ma perché ma perché non ascolto solo i Meters?

21 giugno 2011

Un invito al cinema

Roberta Bla scrive:
ieri io ho visto il film piu brutto. Ti prego guardalo

Cane scrive:
ok
spara.

Roberta Bla scrive:
The Tree of Life
no, va bè: un misto tra l'acquario di genova e super quark. ti prego guardalo.
tutto. sono 2 ore e 15 minuti

Cane scrive:
ah

Roberta Bla scrive:
eh.

Cane scrive:
gli ambienti snob
si riferiscono a questo film semplicemente come
(pausa drammatica)
Il nuovo Terrence Malick.
(occhiata d'intesa)

Roberta Bla scrive:
ahahahah giuro la sala rideva per le stronzate che dicevo. del tutto appropriate, poi capirai. "piero angela ha preso parte al progetto, e anche lara croft volendo. che della jolie c'è il marito con un labbro insolitamente storto, non si sa se per autorità paterna o per semplice paralisi da post trauma copione."

Cane scrive:
continua ti prego
sto annotando minuziosamente.

Roberta Bla scrive:
beh. beh. poi appare un sean penn e tutti si credono salvi. ma invece il caro ex consigliere comunale gay di castro finisce per alienarsi in terre inesistenti tra meteoriti e ghiacciai, in smoking, cercando il suo vero io, una sorta di seduta di quei gruppi di fight club dove la marla scivolava con i pinguini

Roberta Bla scrive:
anyway, quando l'avrai visto

Roberta Bla scrive:
ci faremo due risate.

I'ts kind of a funny story (Ryan Fleck, Anna Boden - 2010)

Un pischelletto americano di sedici anni si vuole ammazzare però non si ammazza e chiede di essere ammesso in una clinica psichiatrica dove trova se stesso e l'ammore (con due M); nel frattempo, capisce che stava sbagliando tutto e che si stava mettendo troppa pressione addosso e che non voleva fare niente di quello che pensava di voler fare e riesce pure a sbloccare un paio di casi clinici, tiè, che altro andate cercando?
Quindi vediamo un po': scoperta del proprio vero io, contatto con le proprie emozioni, autoaccettazione zen-fricchetton-californiana, ragazzina problematica con la maglietta degli Stooges, Galifianakis fa il disagiato, Emma Roberts è bona, tutto è perfettamente leggibile come un cartello autostradale.
Sì, questo film è la pasta al burro.
Però almeno Jeremy Davies per una volta non fa la breakdance al rallentatore: meno male, va'.

sentenza: 2/5

20 giugno 2011

Tedeschi Trucks Band: Revelator (Columbia Legacy - 2011)

Derek io ti voglio bene e pure tanto, Derek tu sei una delle poche persone per cui metterei in dubbio alcune certezze sessuali mie che mo' non ti sto a dire. Ti stimo e non perdo una cosa di quello che fai. Roadsongs non era un granché ma non ti sono stato a cacare il cazzo, però adesso due o tre cose te le devo dire.
Sta bene che tua moglie è una bella fiòla e je vòi tantobbène e c'ha pure una bella voce però guarda che solo con l'amore non ce li alzi 61 minuti di disco, nel senso: teoricamente è un bel disco, c'è il soul, c'è il blues - tanto - c'è l'r&b e c'è pure un bel po' di sudore NOLAno, e ci sono dei pezzi anche carini che io insomma al volante di una macchina su un'autostrada mi ci sono anche immaginato e mentre spolveravo ho pensato Questa canzone (che poi è Midnight in Harlem, se non ricordo male) starebbe bene in una playlist da viaggio notturno se mai ne avessi una ma prima o poi ce l'avrò. Però ecco, ci sono dei momenti che l'occhietto sul timer della traccia un paio di volte m'è cascato e mi sono chiesto se per qualche motivo stessi viaggiando indietro nel tempo. Quindi meno cose, Derek, che io ho capito che essere cresciuti con gli Allman Brothers, per te la stringatezza questa sconosciuta, però ecco, meno cose uguale, che alcuni pezzi m'hanno fatto l'effetto del petto di pollo appena tolto dal frigo e senza manco un filo di maionese.
E poi un'altra cosa, Derek, tua moglie abbiamo detto sì bella brava bella voce interpreta bene siamo d'accordo, ma come solista non è mai stata 'sto che, e non mi venire a dire Però è brava per essere una donna, perché non attacca. Quindi fai una cosa buona, Derek: fai il maschio di casa e IMPEDISCI a tua moglie di fare gli assoli, tanto basti tu. È semplice, vai da tua moglie e le fai Susan, se fai un assolo ti spezzo le dita. Credimi, funziona. Così poi magari che ne sai, funziona anche il disco prossimo.
Ah, e già che ci siamo, cacci 'sto cantante de mmerda che te ritrovi che è l'unico nero al mondo che fa l'imitazione di Joe Cocker? Sii bono, su.

Sentenza: 3/5

18 giugno 2011

Sucker Punch (Zach Snyder, 2011)

Allora quindi ricapitolando: c'è questa pischella che viene rinchiusa in manicomio dal patrigno perché ha rosicato per una faccenda d'eredita, e mo' finisce lobotomizzata perché sempre il patrigno si mette d'accordo con un infermiere fiodenamignotta, però quando Don Draper sta per esaudire i suoi sogni ramonesiani, si ferma tutto e siamo in un vaudeville che secondo imdb è negli anni 60 ma potrebbe essere in qualsiasi momento del XX secolo e lei non è più una presunta pazza ma una ballerina costretta a fare un po' la mignotta. Tuttavia per sfuggire a questa situazione di disagio, sta pora fija quando vede le brutte danza e la danza diventa un'ULTERIORE dimensione fittizia in cui lei è una specie di Beatrix Kiddo che ammazza i mostri in slow motion e così affronta e risolve le situazioni sul piano della realtà che poi si capisce subito che realtà non è. Bene. In questo modo la porafija architetta un piano di fuga che coinvolge anche tre altre porefije (di una abbiamo visto le tette su internet).
Ora, il film va a finire in maniera veramente poco sorprendente, è cattolico, inesorabile, mai una gioia; ma non è questo il punto.
Il punto è che nonostante il film contenga delle lezioni sulla fiducia in se stessi, e sull'essere padroni del proprio destino, e insegni che anche in condizioni di grande difficoltà una soluzione c'è sempre, questo film è boh, ciclotimico.
Già perché la differenza tra il ritmo delle scene d'azione (che è forsennato, alla scena del dirigibile pure un po' di capogiro, e non erano le quattro peroni, sono mica un principiante) e quello verameeeente blando delle parti di sviluppo e dialogo è veramente smisurata, e posso anche capire che tutto il film è basato sui diversi livelli di realtà e di percezione che più che intersecarsi si avvicendano, ma il risultato è un po' straniante, e viene accentuato da continui elementi di destabilizzazione - e non parlo tanto della presenza di armi fantascientifiche nell'immaginario di una post-adolescente degli anni 60 quanto anche dell'uso di pop songs nel normale flusso narrativo, che spesso e malvolentieri accentua il taglio da videoclip a cui il film ammicca anche troppo.
Non solo, il film è anche strutturato a livelli. Ma attenzione: NON livelli narrativi o che, a livelli come un videogioco, come SuperMario, o boh, Tekken. Le scene di combattimento sono sequenziali e progressive, di intensità, coreografia e complessità sempre crescenti, e con tanto di briefing iniziale e bullet time come uno sparatutto degno di questo nome (e credetemi, io ne ho giocati, io ho occhiali con la montatura nera). In questo modo, la quasi catatonia delle scene di non-combattimento non fanno altro che aumentare l'attesa del prossimo carnevale in CGI montato al microsecondo, il che è curioso, tenuto conto che il film vuole veicolarti una morale, e nemmeno tanto implicitamente. Insomma non è Scott Pilgrim vs. the world, tanto più che ve lo dico, Sucker Punch non fa ridere PER NIENTE, manco una risata, zero, nada: possono farvi il calco della faccia nel frattempo.

Insomma io ho capito che Tarantino ha aperto il filone dello zuppone postmoderno anche nel mainstream milionario hollywoodiano, e sono anche sicuro che Snyder prima o poi un film in cui tutti questi contesti diversi verranno omogeneizzati piuttosto che giustapposti lo farà, dato che con questo c'è andato vicino (e in culo al genietto di Knoxville), però io normalmente tendo sempre ad avere in uggia di chi fa un film e poi si sbrodola e perde di vista il fatto che:
1. se mi devi raccontare una storia raccontala e non rompere il cazzo (insomma: SOOONAAAA!)
2. se non mi devi raccontare una storia, almeno fammela vedere una sisa, e invece in 1 ora e 49 minuti di Sucker Punch, nonostante quattro puelle di invidabile fattura, di sise, nemmeno l'ombra.
Quindi ha detto bene Valerio dopo meno di mezz'ora dall'inizio: Se fossi stato al cinema mi sarei già addormentato, questo è il film più lento di sempre.
È vero, ho pensato, e dire che lui non ha nemmeno visto il Nosferatu di Herzog.
Io invece sì.
Cioè, capito?

6 giugno 2011

Jim Carroll: The land of laughs

e chi se lo ricordava che carroll scriveva come quando hai sedici anni e scrivi una storiella e dici Allora questa storia fa così e così c'è tizio e c'è caio tizio dice questo e caio dice quest'altro e poi succede questa cosa e tizio pensa e caio dice io pensavo che scrivere fosse una cosa un po' più complicata che tirasse in ballo che ne so un retroterra psicologico o culturale e invece i personaggi di carroll hanno due dimensioni e vivono unicamente nella storia il libro è il mondo non c'è niente fuori e se vogliamo ci sta pure perché lui scrive cose surreali insomma questo libro è una variazione sul tema È tutto scritto e la vita non segue che un percorso già segnato da qualcuno che in questo caso è il protagonista come quasi sempre sennò è dio e noi stiamo leggendo la bibbia non questo carroll che tutto sommato ricordavo che doveva essere un po' meglio l'avrò letto da qualche parte non ricordo dove maledetti critici marchettari.

The Green Hornet (Michel Gondry, 2011)

Sarà il caldo sarà la domenica quello che vi pare però ieri ho pensato che non avendo niente di meglio da fare tanto valeva guardarsi The green hornet. Sì, sì, ho pensato proprio TANTO VALE guardarsi The green hornet perché adesso ve lo spiego perché.
Abbiamo capito, ci sono sempre un milione e mezzo di motivi per guardarsi un film e per questo film ce n'erano diversi: è diretto da Gondry e poi c'è dentro Rogen che finora non ne ha sbagliata una e questo film l'ha pure scritto. Quindi mettiamo su questo film che i presupposti ci sono, ho visto cose che si preannunciavano peggiori per molto meno.
Allora questo film parte e l'impressione che hai è che Rogen sia capitato su un set di un film che non è il suo e abbia recitato una parte che non è di quel film e nessuno se ne sia accorto. Eh sì perché lui dovrebbe essere il figlio di un magnate della stampa che a un certo punto decide di diventare una specie di kingpin clandestino e tu dovresti capire il perché, e invece lui continua ad essere Ben Stone, lo sfigatello goffo dal cuore tenero di Knocked Up. Cioè, intorno a lui esplodono macchine e ci sono dei ninja che fanno volare shuriken e pure il bullet count è piuttosto elevato, e lui dice Woah da paura. E te pensi Mmm...
Allora dici Ok, probabilmente questo film parte come una specie di mobiletto fatto coi rimasugli in maniera tale che capisci dal loro tono le scelte successive dei personaggi e poi però si amalgama un po' meglio e col tempo si rivela solido e affidabile. Poi però no.
Allora cerchi di darti una spiegazione diversa, dici Ho capito, questo è un film fumetto scritto da nerd che finalmente fanno la parte di un supereroe ma non rinunciano a metterci dentro l'umorismo da everyman che dissacra e umanizza la figura del vendicatore mascherato, e questo tutto sommato, ma dico TUTTO sommato è finora l'unica spiegazione che mi sono dato. Pure l'assolo di regia con gli effetti di Gondry volendo te la spieghi così. Ma pure volendo è poco, pochissimo, cioè se io non sapessi di chi è Rogen e cos'ha fatto questo film mi sembrerebbe SBAGLIATO. Magari voi mi chiederete Perché non puoi partire da questo presupposto con lui, cioè con Woody Allen devi sempre ricordarti che stai guardando un film di Woody Allen e con Rogen no? Voi potete chiedermelo ma io vi chiederei di contro Mi state davvero facendo questa domanda?
E nel frattempo il film va avanti e esplodono ancora più cose e lui è sempre Ben Stone e dopo aver fatto pace col fatto che qualcosa che non torna adesso devi far pace col fatto che qualcosa non tornerà fino alla fine e inizi a star seduto scomodo come se avessi portato degli amici a vedere Aspettando Godot e non sapevi che era una versione musical gay con dentro pezzi di cartone animato e documentari sui mattatoi. Cioè, davvero, troppe cose tutte insieme.
E poi Cameron Diaz sta iniziando a invecchiare, si vede proprio.

Sentenza: 3/5

2 giugno 2011

Broken Social Scene: Bee hives (Arts & Crafts, 2004)

Sarà che me la vado pure a cercare ad ascoltare un disco di B-sides dei Broken Social Scene i cui A-sides già non brillano in quanto ad amichevolezza, però metti che un giorno tra un tot di anni in un domani post-atomico qualcuno dovesse trovare questo disco tra i rifiuti tra le macerie, io lo faccio per i posteri di ascoltare tutto e allora questo è un messaggio per i nostri discendenti, un memento scagliato dritto nel futuro:
A regà, lasciate perdere questo disco, dura cinquanta minuti scarsi e non succede NIENTE, o peggio: a un certo punto PARE che stia succedendo qualcosa perché in mezzo a questa specie di silenzio molliccio che fa da brodo di cottura a tutto il disco, parte un accenno un microtema un abbozzo di canzone qualcosa e voi penserete Beh meno male, e invece NIENTE, non succede NIENTE e se succede qualcosa poi lo RIPETONO finché non dite Aò. Lasciate perdere, posteri. Piuttosto, continuate a scavare nelle macerie che magari trovate un cofanetto di Sanford & Sons.
Verdetto: ** (ma solo per Lover's spit che ci voleva Feist per fargliene imbroccare una, a 'sti pallosi)